(Agrigento)
L’inferno ha solo cambiato indirizzo. Prima era all’hotspot di Lampedusa, ora si è trasferito 210 chilometri a nord, sulla costa siciliana, a Porto Empedocle. Le scene viste giorni fa nell’isoletta, prima dell’arrivo di Meloni e von der Leyen, quando il centro di accoglienza era diventato un carnaio con 7mila disperati e in cui era difficile dormire sdraiati, si è ripetuto ‘A Marina’, come la gente del posto chiama questo comune di 16mila anime. Un migliaio di migranti, trasferiti da Lampedusa, staziona nella struttura da 2mila metri quadri, sotto un sole cocente, riparati da tende bianche, pochi viveri e acqua.
"Sembra di essere tornati nei lager libici", esagera in un inglese scolastico un sudanese scappato dai pogrom del presidente Saied. Il rais ha soffiato sull’odio razziale contro i migranti subsahariani, cacciati dall’oggi al domani e aggrediti con sassi e spranghe al grido: "Via i negri africani". Molti di loro sono terrorizzati, temono di essere rimandati indietro, al porto tunisino di Sfax. "Per noi sarebbe la morte certa", dice un ragazzo del Sahel. Per questo motivo scappano attraverso la piccola recinzione che circonda il centro di accoglienza di Porto Empedocle. Vanno via in centocinquanta, forse duecento o trecento, il numero esatto non si saprà mai. Gli agenti di polizia fanno quello che possono, cercano con i loro corpi di opporre una barriera che impedisca la fuga, ma non c’è nulla da fare.
Una marea umana si dilegua nella notte siciliana, uno dei poliziotti viene addirittura scaraventato per terra e calpestato, riporta una lussazione. "Nelle ultime ore la situazione a Porto Empedocle è diventata esplosiva. Da ieri sera (domenica, ndr), ci sono circa 1.300 migranti sulla banchina e sono solo 20 gli agenti di polizia a tutela dell’intera area", dichiara in una nota Domenico Pianese, segretario generale del sindacato di Polizia Coisp. "No, – replica la questura di Agrigento – c’erano sette pattuglie sul posto".
Anche dopo l’evasione in massa le cose restano in un disordinato tramestio. "Si ammazzano per un pezzo di pane. Gente che cerca acqua e cibo e cerca, spesso riuscendovi, di uscire", dice Calogero Martello, sindaco di Porto Empedocle. "Le persone che riescono a riversarsi per strada, e che si aggirano in gruppetti, mettono paura anche ai meno impressionabili. È una situazione insostenibile".
L’area potrebbe ospitare al massimo 250 persone; ce ne stanno, invece, oltre mille. E la struttura è ora al collasso, con l’ufficietto di pre-identificazione travolto dalla fiumana di richiedenti. Dovevano sostare a Porto Empedocle solo per una mezza giornata, al massimo per 24 ore, e invece si è inceppato il meccanismo di trasferimento dei bus. Una "falla commerciale", la definiscono cinicamente gli addetti ai lavori sul posto.
Molte ditte private che avrebbero dovuto partecipare alla ‘carovana’ per i trasferimenti di verso le altre regioni italiane si sono rifiutate di fornire i mezzi di trasporto. Alcune scottate dalla tragica morte dei due autisti a Fiano Romano mentre trasportavano 50 migranti. Altre invece per le condizioni igieniche in cui vengono lasciati i bus dopo i trasporti. Altre, infine, perché sono saltate le garanzie economiche fornite dalle autorità locali. Alla fine della giornata di caos qualcosa si muove. Vengono inviati quattro autobus della Polizia e due dell’Esercito che serviranno a trasferire i primi 300 migranti in alcune strutture della regione. Mentre il traghetto “Paolo Veronese“, con quale sono stati spostati 600 migranti da Lampedusa a Catania, concluse le operazioni di sbarco non rientrerà alle Pelagie, ma farà rotta verso Porto Empedocle per alleggerire la tendopoli.