Lecce, 17 febbraio 2018 - Sepolta quando era ancora in vita, mentre le sue labbra lanciavano invettive per quel comportamento spietato e manifestavano stupore per quella crudeltà tanto inspiegabile. Sono stati questi gli ultimi istanti di Noemi Durini, la 16enne di Specchia (Lecce) scomparsa il 3 settembre 2017 e ritrovata senza vita nelle campagne di Castrignano del Capo dieci giorni dopo. Il corpo è stato davvero occultato mentre c’era ancora vita dentro di esso? A sciogliere i dubbi sarà la consulenza del medico legale Roberto Vaglio, notificata in queste ore alle parti.
Secondo indiscrezioni, l’esame confermerebbe il raccapricciante scenario descritto dal presunto assassino, L. M., oggi 18 anni ma minorenne all’epoca dei fatti, recluso in un carcere sardo. «Un quadro non difforme», scrive Verga. Sarebbe quindi andata come lui stesso ha raccontato alla psicologa Maria Grazia Felline e allo psichiatra Alessandro Zaffarano, consulenti del Tribunale per i minorenni che li ha incaricati di verificare la sua capacità di intendere e volere. Picchiata a mani nude, accoltellata alla nuca, sepolta viva. «L.M. conferma che Noemi è caduta. E aggiunge che mentre poneva le pietre sopra alla ragazza, lei dicesse: Che c... stai facendo?», scrivono i periti. «Quando sono andato via io, Noemi era viva. Lo so perché diceva ‘che cogl... che cogl...’, ‘che mi hai fatto, che mi hai fatto», racconta ancora il ragazzo, che era allora diciassettenne. E quando i periti gli chiedono perché metteva le pietre sopra di lei la risposta è stata: «Per nasconderla». Da qui la successiva domanda: «Ma se lei era viva, cosa dovevi nascondere?». A questo punto il giovane si blocca e non risponde più. Secondo i due esperti il silenzio deriva dallo sconcerto del minore per un «confronto che ha preso una piega diversa da quella che immaginava».
Lui arriva davanti ai due periti con l’idea ben precisa: descrivere la sua sudditanza nei confronti di Noemi: «Qui esce fuori che io la picchiavo ogni giorno. Ero schiavo della situazione, forse non ci siamo capiti». Poi la conversazione prende un’altra piega, facendo balenare che la coltellata inferta alla testa della ragazza non era fatale: «Perché con un colpo qua non è che muori», dice.
Un confuso prologo a un altro colpo di scena, il 16 gennaio, quando con una lettera consegnata indirizzata agli inquirenti, L. punta il dito contro il meccanico Fausto Nicolì, 49 anni, amico dei due fidanzati e già tirato in ballo dalla famiglia: è stato lui ad ucciderla, non io, era lui che voleva occultare la relazione con Noemi. Subito dopo la procura avvia una perquisizione in casa dell’uomo e lo iscrive sul registro degli indagati per omicidio. «Un atto dovuto – spiega l’avvocato Luca Puce – il mio assistito è indignato per questa accusa infondata. C’è stata già una confessione piena e una perizia».
Una ritrattazione clamorosa, quella di L., dopo la confessione resa dopo il ritrovamento del corpo di Noemi: «È successo – raccontò il ragazzino ai due pm – che gli sono andato di dietro e le ho infilzato il coltello in testa e poi con delle pietre le ho frantumato la testa, l’ho lasciata stesa, ho messo delle pietre sopra di lei, però in quel momento non capivo niente, so di averla colpita alla nuca ma non so in quale punto. Poi si è spezzata la lama dentro, io mi sono trovato il manico in mano».
Ma ora quella versione, tra ammissioni e marce indietro, fa acqua da tutte le parti.