Domenica 23 Marzo 2025
DANIEL PEYRONEL
Cronaca

Un altro inverno senza neve, allarme per l’estate. Gli effetti devastanti dalle cime alla Pianura Padana

Il bilancio idrico della neve sulle montagne italiane è sceso del 57% sottolinea l’ultimo rapporto della Fondazione CIMA. Un calo particolarmente drammatico negli Appennini, che però, in assenza di precipitazioni primaverili, potrebbe avere ripercussioni gravi anche sulla Pianura Padana, dove confluisce circa la metà della risorsa idrica nivale italiana

Un altro inverno senza neve, allarme per l’estate. Gli effetti devastanti dalle cime alla Pianura Padana

Roma, 22 marzo 2025 – C’era una volta la neve. Nell’arco di dieci anni, la quantità d’acqua accumulata nella neve delle Alpi e degli Appennini è scesa drasticamente: “Oggi abbiamo quasi due terzi di neve in meno rispetto al decennio scorso” spiega Francesco Avanzi, ricercatore della Fondazione CIMA, che registra nell’ultimo report un deficit a livello nazionale del 57% rispetto alle medie storiche.

Le montagne italiane sono sempre più spoglie: le precipitazioni scarseggiano o si concentrano in periodi brevi e il manto nevoso non fa in tempo a crearsi e stabilizzarsi. Un effetto dovuto all’aumento delle temperature e all’avvicinamento ad una soglia critica: “se la temperatura media invernale passa da -4°C a -2°C per la neve non fa una grandissima differenza, ma se si passa da -1 °C a +1°C allora cambia tutto”, afferma l’esperto. A patirne le conseguenze non sono solo i territori di montagna e la attività economiche legate agli sport invernali, ma anche a valle il dato preoccupa: quanto sarà difficile l'estate?

Un desolante panorama invernale con solo una lingua di neve artificiale per una pista da sci
Un desolante panorama invernale con solo una lingua di neve artificiale per una pista da sci

Una “banca dell’acqua” sempre più povera

La portata nei corsi d'acqua, in realtà, dipende da molti fattori: la neve, ma anche le precipitazioni primaverili, l’acqua presente nelle falde acquifere e nei grandi bacini alpini e appenninici. Il manto nevoso in montagna, però, svolge una funzione di "banca dell'acqua": un serbatoio prezioso che, sciogliendosi progressivamente durante la primavera e l'estate, contribuisce a soddisfare l’aumento del consumo, soprattutto agricolo e a compensare la riduzione della portata dei corsi d'acqua e delle precipitazioni. Se la siccità meteorologica e la mancanza di neve sulle Alpi sono due fenomeni distinti, la loro concomitanza può rivelarsi disastrosa, come durante l’estate di tre anni fa. “Il 2022 è stato un anno povero di neve, ma anche siccitoso d'estate. Al Nord abbiamo sperimentato situazioni anomale di razionamenti in tantissimi comuni e problemi di disponibilità idrica che conoscevamo soprattutto in Sardegna o in Sicilia”, sostiene Marco Carrer, ricercatore presso il Dipartimento Territorio e Sistemi Agroforestali dell’Università di Padova. Autore principale di uno studio pubblicato su Nature Climate Change nel 2023, il ricercatore rivela che la durata del manto nevoso alpino si è è ridotta di 36 giorni, “qualcosa che non abbiamo mai sperimentato negli ultimi 600 anni”.

È ancora presto per dire quanto secca sarà l’estate nel bacino del Po, ma, dopo una fase di recupero a inizio gennaio, l’aumento delle temperature a febbraio ha accelerato la fusione della neve e il serbatoio alpino registra un deficit del 44% : “Sulle Alpi quest'anno stiamo assistendo a temperature più calde della norma, però tutto sommato sta nevicando un po' e quindi c'è della neve accumulata”, spiega Francesco Avanzi.

I limiti dell’adattamento

“Quello degli sport invernali è un settore decisamente importante e il prossimo anno ci sono le Olimpiadi Invernali di Milano-Cortina. Per adesso riescono in parte a tamponare la scarsità d’acqua grazie agli impianti di innevamento artificiale, ma con l’aumento delle temperature sarà una soluzione sempre più costosa e meno efficace”, spiega Marco Carrer. Negli ultimi anni i bacini di ritenzione idrica in montagna per raccogliere l’acqua destinata alla neve artificiale si sono moltiplicati, con un costo ecologico ed economico difficilmente sostenibile. E soprattutto privando di una risorsa fondamentale le attività economiche a valle. Nonostante il trauma del 2022, molti territori hanno cominciato ad adattarsi, sostiene Francesco Avanzi: “Una parte dell'Italia si sta dotando di osservatori delle risorse idriche e un po’ ovunque la conoscenza e quindi la gestione in maniera più consensuale delle risorse idriche migliora”.

Ma il declino della neve nasconde altri effetti, alcuni dei quali irreversibili, come la maggiore instabilità delle pareti rocciose e soprattutto la perdita di ecosistemi di alta quota. “Sono ambienti che si sono evoluti per decine di migliaia di anni con un determinato clima e che prevedeva una buona parte dell'anno sotto una spessa copertura nevosa. Tutta una serie di specie vegetali e animali, associate a questa copertura nevosa, andranno perse”, dice Marco Carrer. È il caso del Calderone in Abruzzo, a lungo considerato il ghiacciaio più meridionale d’Europa, ormai declassificato e quasi scomparso. Negli Appennini, il calo della neve è drastico: in Campania e in Calabria il deficit raggiunge dei picchi del 99% rispetto alla media.

Ma la tendenza è globale: le proiezioni di Météo-France indicano una riduzione della durata dell'innevamento di diverse settimane e una perdita dello spessore medio nevoso compreso tra il 10 e il 40% in tutti i rilievi montagnosi di altezza media, come gli Appennini, indipendentemente dallo scenario di concentrazione dei gas a effetto serra.