Roma, 22 marzo 2025 – C’era una volta la neve. Nell’arco di dieci anni, la quantità d’acqua accumulata nella neve delle Alpi e degli Appennini è scesa drasticamente: “Oggi abbiamo quasi due terzi di neve in meno rispetto al decennio scorso” spiega Francesco Avanzi, ricercatore della Fondazione CIMA, che registra nell’ultimo report un deficit a livello nazionale del 57% rispetto alle medie storiche.
Le montagne italiane sono sempre più spoglie: le precipitazioni scarseggiano o si concentrano in periodi brevi e il manto nevoso non fa in tempo a crearsi e stabilizzarsi. Un effetto dovuto all’aumento delle temperature e all’avvicinamento ad una soglia critica: “se la temperatura media invernale passa da -4°C a -2°C per la neve non fa una grandissima differenza, ma se si passa da -1 °C a +1°C allora cambia tutto”, afferma l’esperto. A patirne le conseguenze non sono solo i territori di montagna e la attività economiche legate agli sport invernali, ma anche a valle il dato preoccupa: quanto sarà difficile l'estate?

Una “banca dell’acqua” sempre più povera
La portata nei corsi d'acqua, in realtà, dipende da molti fattori: la neve, ma anche le precipitazioni primaverili, l’acqua presente nelle falde acquifere e nei grandi bacini alpini e appenninici. Il manto nevoso in montagna, però, svolge una funzione di "banca dell'acqua": un serbatoio prezioso che, sciogliendosi progressivamente durante la primavera e l'estate, contribuisce a soddisfare l’aumento del consumo, soprattutto agricolo e a compensare la riduzione della portata dei corsi d'acqua e delle precipitazioni. Se la siccità meteorologica e la mancanza di neve sulle Alpi sono due fenomeni distinti, la loro concomitanza può rivelarsi disastrosa, come durante l’estate di tre anni fa. “Il 2022 è stato un anno povero di neve, ma anche siccitoso d'estate. Al Nord abbiamo sperimentato situazioni anomale di razionamenti in tantissimi comuni e problemi di disponibilità idrica che conoscevamo soprattutto in Sardegna o in Sicilia”, sostiene Marco Carrer, ricercatore presso il Dipartimento Territorio e Sistemi Agroforestali dell’Università di Padova. Autore principale di uno studio pubblicato su Nature Climate Change nel 2023, il ricercatore rivela che la durata del manto nevoso alpino si è è ridotta di 36 giorni, “qualcosa che non abbiamo mai sperimentato negli ultimi 600 anni”.
È ancora presto per dire quanto secca sarà l’estate nel bacino del Po, ma, dopo una fase di recupero a inizio gennaio, l’aumento delle temperature a febbraio ha accelerato la fusione della neve e il serbatoio alpino registra un deficit del 44% : “Sulle Alpi quest'anno stiamo assistendo a temperature più calde della norma, però tutto sommato sta nevicando un po' e quindi c'è della neve accumulata”, spiega Francesco Avanzi.
I limiti dell’adattamento
“Quello degli sport invernali è un settore decisamente importante e il prossimo anno ci sono le Olimpiadi Invernali di Milano-Cortina. Per adesso riescono in parte a tamponare la scarsità d’acqua grazie agli impianti di innevamento artificiale, ma con l’aumento delle temperature sarà una soluzione sempre più costosa e meno efficace”, spiega Marco Carrer. Negli ultimi anni i bacini di ritenzione idrica in montagna per raccogliere l’acqua destinata alla neve artificiale si sono moltiplicati, con un costo ecologico ed economico difficilmente sostenibile. E soprattutto privando di una risorsa fondamentale le attività economiche a valle. Nonostante il trauma del 2022, molti territori hanno cominciato ad adattarsi, sostiene Francesco Avanzi: “Una parte dell'Italia si sta dotando di osservatori delle risorse idriche e un po’ ovunque la conoscenza e quindi la gestione in maniera più consensuale delle risorse idriche migliora”.
Ma il declino della neve nasconde altri effetti, alcuni dei quali irreversibili, come la maggiore instabilità delle pareti rocciose e soprattutto la perdita di ecosistemi di alta quota. “Sono ambienti che si sono evoluti per decine di migliaia di anni con un determinato clima e che prevedeva una buona parte dell'anno sotto una spessa copertura nevosa. Tutta una serie di specie vegetali e animali, associate a questa copertura nevosa, andranno perse”, dice Marco Carrer. È il caso del Calderone in Abruzzo, a lungo considerato il ghiacciaio più meridionale d’Europa, ormai declassificato e quasi scomparso. Negli Appennini, il calo della neve è drastico: in Campania e in Calabria il deficit raggiunge dei picchi del 99% rispetto alla media.
Ma la tendenza è globale: le proiezioni di Météo-France indicano una riduzione della durata dell'innevamento di diverse settimane e una perdita dello spessore medio nevoso compreso tra il 10 e il 40% in tutti i rilievi montagnosi di altezza media, come gli Appennini, indipendentemente dallo scenario di concentrazione dei gas a effetto serra.