Un neonato morto nella culla termica della chiesa di San Giovanni Battista, nel quartiere barese di Poggiofranco. Il capoluogo pugliese inaugura il 2025 con un lutto doloroso. "Il mio cellulare non ha suonato", si dispera il parroco Don Antonio Ruccia, distrutto dalla scoperta e dalla dinamica sfuggente. Colpa della tecnologia? Errore umano? Controlli quotidiani insufficienti? A ritrovare il corpo, l’impresario funebre Roberto Savarese, intento a mostrare il vano salva-vita a un suo collaboratore di agenzia nelle more di un funerale. La visita guidata – che evidenzia consuetudine con un luogo teoricamente ’protetto’ – si conclude con una macabra scoperta: la culla non è vuota, dentro c’è una creatura di circa un mese. Immobile. Scattano le chiamate di rito: 118 e 112.
Immediatamente, parte anche l’indagine per abbandono di minore "con aggravante della conseguente morte". Il parroco, in trasferta a Roma, parla di "infanticidio". "Sconvolto", tenta un ardito collegamento con le vittime "innocenti delle guerre del mondo" come se Bari confinasse con Gaza. Al vaglio degli inquirenti ci sono le telecamere di videosorveglianza della zona e della chiesa. Ma nell’area della culla termica non ci sono occhi elettronici. "Una scelta fatta per garantire la privacy di chi compie un gesto tanto difficile quanto coraggioso", spiegano in parrocchia. Nessuno sa chi possa aver lasciato il neonato. "Secondo me non è una persona del quartiere – si sbilancia don Ruccia –. Saranno sicuramente venuti da altre zone della città. È la dimostrazione che la culla termica della nostra chiesa serve", insiste il sacerdote, forte della neonata salvata il 23 dicembre 2023 e poi battezzata con il nome di Maria Grazia. Stavolta le cose sono andate diversamente. Il parroco era fuori sede, nessuno ha controllato il punto-culla e il dispositivo di segnalazione non ha funzionato.
L’inchiesta si presenta delicata. Al momento nessuno può sapere se il neonato sia stato abbandonato vivo oppure già morto. L’impresario funebre autore del ritrovamento casuale è provato: "Ho aperto il cancello prima e la porta dopo. Non riuscivo a credere ai miei occhi: c’era un neonato, un maschietto ed era morto. Era immobile, la carnagione chiara e nulla era accanto a lui: non un ciuccio, un biberon, un biglietto". In teoria, "la culla per la vita è una struttura concepita appositamente per permettere di lasciare, totalmente protetti, i neonati da parte delle mamme in difficoltà nel pieno rispetto della sicurezza del bambino e della privacy di chi lo deposita", sostiene il servizio del Centro di ascolto alla vita Odv che censisce (ma non gestisce) le circa 60 versioni tecnologiche dell’antica ruota degli esposti. Di certo pubblicizza il dispositivo 2.0 operativo a Bari e ora sotto sequestro: "Riscaldamento, chiusura in sicurezza della botola, presidio di controllo h24 e rete con il servizio di soccorso medico" che permettono "la salvaguardia del bambino". Problemi di manutenzione? Controlli insufficienti? Cos’è successo? L’inchiesta è appena iniziata. L’autopsia affidata al professor Biagio Solarino chiarirà forse il quadro.
"Non c’è necessità delle culle per la vita", denuncia Nicola Laforgia, direttore Neonatologia e Terapia intensiva neonatale del Policlinico di Bari: esiste "la possibilità di partorire in anonimato in ospedale" senza alcun tipo "di identificazione". Ma molte gestanti neppure lo sanno.