L’ultimo rapporto Onu scrive questo numero: 45mila. Sono le vittime di femminicidio nel mondo nel 2021: donne uccise da partner, ex partner o altre persone della propria sfera familiare. Una ogni 12 minuti; cinque ogni ora; complessivamente, fanno più della metà delle donne decedute per omicidio intenzionale nel 2021 (81mila). Come nei casi recenti di Giulia e Pierpaola, è la conferma globale del fatto che gli assassini delle donne sono molto spesso le persone più vicine: partner, ex, o familiari.
Il 56% degli omicidi femminili avviene infatti nella sfera relazionale più intima contro l’11% del corrispondente dato maschile. Significa che una donna ha cinque possibilità in più di un uomo di essere assassinata in ambito familiare o relazionaleaffettivo. E il calcolo è per difetto. Perché quattro omicidi femminili su dieci rimangono non classificati. Le stime Onu 2021 attribuiscono 17.800 femminicidi all’Asia, 17.200 all’Africa, 7.500 alle Americhe, 2.500 all’Europa, 300 all’Oceania. Un dato probabilmente da rivalutare – su scala pluriennale – perché influenzato dalle dinamiche Covid (vedi alla voce lockdown). La classifica dei decessi femminili restituisce però tutt’altro quadro in rapporto alle popolazione delle aree sotto esame: è l’Africa il continente più pericoloso con 2,5% di femminicidi ogni 100mila abitanti, davanti ad Americhe (1,4%), Oceania (1,2%), Asia (0,8%), Europa (0,6%). Anche la comparazione dei femminicidi 2010-2021 premia l’Europa (-19%), non le Americhe (+6%).
Nel quadro europeo, statisticamente meno drammatico, lampeggia tuttavia un allarme geografico proprio sui paesi del Sud con +5% nell’esame tra 2019-2020 e +5,3% tra 2020-2021, al contrario dell’Europa occidentale (+13% alla prima comparazione, ma -10% nella seconda). "Nonostante i significativi sforzi degli Stati, il livello dei decessi di genere resta inaccettabile", mette nero su bianco l’Unodc, lo speciale ufficio delle Nazioni Unite contro droga e crimine. Con una postilla: quasi sempre queste morti rappresentano il culmine di "ripetute violenze di genere" e solo l’aumento delle "misure di prevenzione" multisettoriali consentirà di migliorare il contrasto a un fenomeno così radicato e antropologicamente connotato: "L’uomo arbitro di vita e di morte – sintetizza il sociologo Marzio Barbagli –. Se il dato pluriennale sugli omicidi in Italia è infatti in netta discesa, la flessione dei femminicidi è invece decisamente più lenta".
Uno scenario al quale si ribellano le donne italiane più attente. Dal primo giugno i social pullulano di sfoghi ragionati. Come questo: "Poi mi dite quante ne devono morire ancora prima di portare l’educazione sentimentale, sessuale e di genere a scuola. Dalla primaria". O come questo: "Non possiamo lasciarci perché qualcuno potrebbe rivendicarci come proprietà". Tra tanta rabbia cresce anche la sensazione che, nonostante i dibattiti innescati dalla cronaca, la materia non sia sufficientemente indagata. "È vero che il femminicidio è trasversale ad ogni classe sociale, ma se andiamo a fondo scopriamo che in alcune aree di immigrazione è più frequente, specie dove il retaggio patriarcale è forte. In generale – riassume Barbagli – ovunque resista l’idea che la donna sia inferiore all’uomo si annida un rischio potenziale". Perché raramente il femminicidio è un atto impulsivo, quanto la chiusura di un percorso di violenza.
La risposta sta in un approccio largo in cui tutti fanno di più: "Lo Stato, la giustizia, le forze di polizia, i centri anti-violenza, la scuola". Gli stessi nuclei familiari dove il rischio di esiti estremi è sottostimato anche quando sarebbe invece obbligatorio preoccuparsi: come nei casi di contemporanee dipendenze maschili da alcol, droghe o psicofarmaci. Barbagli illumina un percorso di speranza: "In Italia solo 30 anni fa avevamo 1.900 assassinati all’anno. Ora sono 300 (dati 2021): sempre troppi, ma la metà che nel Regno Unito o nella civilissima Germania. Il declino della violenza è inesorabile. E anche quella di genere progressivamente si arrenderà a questo trend. La velocità dipenderà dal nostro impegno. Ma se oggi l’Italia è quarta al mondo per minor percentuale di omicidi intenzionali – appena dietro Giappone, Indonesia e Cina – io dico che potremmo stupire ancora".