ROMA
"Il tennis femminile non è per atleti maschi falliti". A lanciare la bordata contro le giocatrici transgender è nientedimeno che Martina Navratilova, 66 anni, leggenda della terrarossa nonché storica icona della lotta per i diritti Lgbtq+. L’ex numero uno del mondo, apertamente gay, è accusata oggi di transfobia dopo essere intervenuta via Twitter a proposito di Alicia Rowley, tennista semisconosciuta nata uomo, vincitrice di alcuni tornei femminili over 55 organizzati dall’Usta, la United States tennis association. Altro fatto contestato da Navratilova è l’iscrizione di Brooklyn Ross, 27enne giocatrice transessuale americana, a un torneo minore in Wyoming. "Non è giusto e non è corretto", ha twittato Martina, aggiungendo: "È patriarcato che gli uomini biologici insistano sul diritto di competere nelle categorie femminili".
Un attacco diretto al regolamento dell’Usta che alla voce ’orientamento sessuale’ recita: "Il tennis prospera quando lo sport abbraccia l’inclusione. Per questo motivo è aperto a tutti indipendentemente da età, etnia, razza, background religioso, orientamento sessuale o identità di genere".
Non è tuttavia la prima volta che Navratilova prende posizione in modo inequivocabile contro gli sportivi transgender. Quattro anni fa su Times, riferendosi alla campionessa di ciclismo Rachel McKinnon, aveva parlato di "Una pratica folle, un vero imbroglio". L’affermazione le valse all’epoca l’espulsione dal consiglio di amministrazione di Athlete Ally, un’organizzazione non profit che promuove l’inclusione Lgbtq+ nello sport. L’universo del tennis femminile rischia ora inesorabilmente di dividersi. Billie Jean King, mito in campo negli anni ’70, ha dichiarato che "agli atleti trans non dovrebbe essere impedito di praticare lo sport", mentre per l’ex campionessa Kimberley Jones: "il tennis femminile si sta trasformando in uno zimbello a causa di queste terribili politiche che danno priorità alla salute mentale e all’identità degli uomini rispetto alle donne".
Loredana Del Ninno