Domenica 23 Febbraio 2025
MARIAROSA MAIOLI
Cronaca

Natale a San Vittore: il giorno più difficile e più bello da trascorrere in carcere. I racconti di chi lo ha vissuto

Luca, Michele e il loro 25 dicembre dietro le sbarre: dalle celle riunite alle collette per un pranzo speciale, tristezza e sofferenza si trasformano in condivisione. Le guardie diventano “amiche” e non c’è spazio per i contrasti religiosi

Una messa di Natale dell'arcivescovo Mario Delpini al carcere di San Vittore a Milano

Una messa di Natale dell'arcivescovo Mario Delpini al carcere di San Vittore a Milano

Milano, 25 dicembre 2024 - “Do they know it’s Christmas?”, si chiedevano i cantanti della Band Aid nel 1984. Chissà, si legge nel testo della canzone, se i bambini che soffrono la fame in Etiopia si rendono conto che è arrivato il Natale. Chissà, ci si potrebbe chiedere oggi, se a Milano c’è ancora qualcuno che non si accorge dell’unicità del 25 dicembre. Le canzoni di Mariah Carey e il caos del traffico invadono le strade e avvertono a tutti che è quel momento dell’anno ma chi si trova recluso dentro un carcere potrebbe vivere il Natale come un giorno qualunque. “È il giorno più difficile in carcere ma anche il più bello. Può sembrare un ossimoro ma non è così: è il momento più duro da affrontare perché si soffre di più rispetto a tutti gli altri giorni ma anche quello in cui si è tutti alla pari, tutti con lo stesso dolore. Una sofferenza che crea condivisione”.

Vivere il Natale anche senza gli affetti

Così Luca, 47 anni, inverte l’idea che ci si potrebbe fare del Natale in carcere: recluso per tre anni a nel reparto La Nave di San Vittore, Luca ha trascorso il Natale dietro le sbarre per due volte, giorni a sé stanti nel calendario monotono della reclusione. La tristezza di non trascorrere le feste a casa si trasforma e sprigiona una determinazione che non trova eguali negli altri giorni. “Le festività in carcere sono l’opposto di quello che vivi tutti i giorni dietro le sbarre”, ha continuato Luca, uscito da san Vittore nel 2022. “Si tende a tenere fuori dal carcere i propri affetti: quando si deve telefonare un parente o avere un colloquio, ci si prepara come se si stesse evadendo. C’è un rito di preparazione antecedente all’incontro che presuppone una cura minuziosa dei dettagli: come se, appunto, ci si incontrasse al di fuori e fosse un avvenimento importante. Lo è. Ma l’unico momento in cui si inverte la dinamica è Natale: è in quel giorno che il detenuto porta i propri affetti dentro le mura. È impossibile non aggrapparsi alle proprie abitudini”.

Gli strappi alla regola del 25 dicembre: permessi, celle riunite e pranzi speciali

Si crea un rito collettivo che sopperisce alla mancanza vissuta da qualsiasi detenuto il 25 dicembre. Luca racconta di lunghe tavolate che coinvolgono l’intero reparto: le celle si uniscono (uno strappo alla regola permesso dalla polizia penitenziaria) e i più volenterosi si mettono ai fornelli per preparare un pranzo degno dell’occasione. “Abbiamo fatto una colletta tra varie celle e abbiamo comprato il pesce: gamberoni, vongole, pesce spada – ha raccontato Luca che il profumo di quei piatti l’ha riportato alle tradizioni della sua Vigilia, a casa con la famiglia. “Ci mancava talmente tanto quel giorno che almeno il dettaglio che ci potevamo permettere, eravamo riusciti a permettercelo”. E poi le sfida tra le tavolate, le tombolate e i tanti svaghi che per un giorno appianano anche le incomprensioni.

L'unicità del Natale in carcere

Michele, 42 anni, reduce da tre festività natalizie trascorse alla Nave, ha raccontato che la lotta tra religioni, così frequente durante l’anno, a Natale si sospende: “Anche chi non è cristiano si integra e la messa del 25 dicembre è più partecipata. Tra i banchi i detenuti dei diversi raggi si mescolano per scambiare qualche chiacchiera in più”. Le stesse guardie concedono più liberta: chi ha i figli può sfruttare il Natale per vederli e ai detenuti viene concesso di spostarsi dal proprio piano per salutare chi non è del proprio raggio. L’eccezionalità del Natale in carcere non colma del tutto le mancanze: “Le mie festività erano rumorose: questo dettaglio è quello che mi è mancato di più”, ha raccontato Michele, “insieme all’immagine dei bambini che scartano i regali”. Luca ha ricordato lo zio ubriaco che si travestiva da Babbo Natale per portare i regali ai bambini: "In carcere tutte le sere si guarda fuori dalla finestra, a Natale ancora di più. Io, guardando fuori dalla mia che dava sull’ingresso di piazzale Aquileia, spesso mi sono immaginato davanti al portone d'ingresso il mio zio vestito di rosso". Per Luca e Michele il Natale in carcere non è stato un momento di rinascita: il 26 dicembre la lenta routine riparte e la scossa del giorno prima rimane racchiusa a quelle ventiquattro ore. Un giorno che, secondo Michele, è secondo solo al momento in cui si lascia il carcere perché è l’unico caso in cui la tristezza non si raggira, si affronta e si con-divide con chi è nella stessa situazione. E tra quelle tavolate arruffate, crocevia di religioni e lingue, si ricrea l'atmosfera natalizia.