Firenze, 1 novembre 2022 - Sindaco Dario Nardella, ci siamo. Via alla lunga volata per il congresso Pd. È vero, bisogna prima di tutto ridare forza ai valori identitari, ma il popolo dem vuol sapere anche chi potrebbe essere la persona nuova che incarna la rinascita.
"Io vedo un rischio serio in questo congresso. Uno scontro radicale basato solo sulla scelta del segretario può riprodurre un vecchio vizio, cioè quello di cambiare leader senza cambiare il partito, attraverso una lotta di potere che sa di resa dei conti tra la destra e la sinistra del partito alla fine della quale chi perde va via e chi vince occupa tutto. Questa volta sarebbe mortale per il Pd. Dobbiamo sforzarci di condividere un sistema di valori e strategie che promuova un vero pluralismo di idee e culture, su cui possiamo innestare un confronto anche acceso e trasparente, ma non distruttivo".
Non si nasconda per cortesia nei tatticismi dell’attesa peraltro lunghissima: il fronte degli amministratori del Pd è vincente e lei lo guida con autorevolezza. Insomma sarà della partita per la corsa a segretario?
"L’attesa è lunga se stiamo con le mani in mano, se facciamo un’opposizione claudicante e se ci teniamo il lutto della sconfitta. Dobbiamo spendere queste settimane per aprirci alla società civile, alle forze civiche, ai giovani, ai territori, mettendo al centro le idee. Per un obiettivo del genere secondo me i sindaci e gli amministratori locali sono decisivi. Io sono impegnato per questo. Sulla mia eventuale candidatura mi pronuncerò quando sarà il momento. Ogni cosa a suo tempo".
Oltre agli amministratori potrebbe contare, cammin facendo, verso le primarie, anche su correnti come Base Riformista mentre Franceschini è già dalla sua parte.
"Non cerco consenso per me, ma per un’idea di partito che metta il tema del lavoro al centro, che unisca il Nord e il Sud su un modello di sviluppo economico sostenibile e innovativo e su un’idea di Paese che abbia nella forza dei territori la sua ossatura".
Lei ha detto nel post voto della sconfitta che prima di tutto il partito deve tornare tra la gente. Avete perso il legame con il Paese reale?
"Le cause della nostra sconfitta vengono da lontano. Non abbiamo coltivato a sufficienza il legame con le città e i territori, dove la sinistra è stata vincente e innovatrice. Il Pd è apparso troppo autoreferenziale e influenzato dal potere, che in 13 anni di governi lo ha consumato. Dobbiamo recuperare credibilità promettendo le cose che poi facciamo davvero, tornando con umiltà nelle periferie del Paese, dove c’è più sofferenza, diseguaglianze, insicurezza, disoccupazione".
Nell’analisi della sconfitta del Pd molti hanno puntato il dito sulla fusione fredda tra Margherita e Ds che a 15 anni di distanza si farebbe ancora sentire negativamente.
"C’è ancora la sensazione che si sia trattato di una fusione a freddo tra due culture politiche. La sfida è dare vita a un soggetto politico nuovo che non smarrisca quella radice ma sia capace di interpretare la realtà di oggi attraverso il ricambio generazionale della dirigenza. Non si può più fare riferimento da ora in poi all’appartenenza: ex renziani, ex Margherita, ex Ds. È un passaggio strategico".
Stare all’opposizione potrebbe essere un toccasana per un bagno di umiltà dem: meno potere, più capacità di intercettare i bisogni dei cittadini?
"Assolutamente sì. Questo governo di destra è partito con alcune scelte molto nette: dall’ammissione del personale No vax negli ospedali all’eliminazione delle sanzioni ai non vaccinati. C’è un messaggio preciso dietro queste azioni: quello di sostituire la libertà e la legalità con il menefreghismo e l’individualismo esasperato. Abbiamo una prateria davanti per fare un’opposizione che si occupa di sanità, di promozione del lavoro in tutte le sue forme, dal ruolo delle imprese ai lavoratori dipendenti, a chi un lavoro non lo ha. È indicativo che mentre gli italiani si preoccupano delle bollette, il governo pensa ad alzare il tetto del contante".
Lei inizia una cavalcata da un capo all’altro del Paese per presentare il suo libro sulle città e l’Europa. Perché ripartire dal valore delle buone amministrazioni locali per aprirsi al nuovo Continente?
"Perché la storia dell’Italia e dell’Europa è una storia di città. E ho imparato in otto anni alla guida di Firenze e in due anni di presidente dell’associazione delle città europee, che i sindaci non sono solo amministratori locali, ma leader politici che potranno dare un futuro al nostro continente. Nel libro, che presenteremo a Firenze il 13 novembre prossimo, provo a spiegare il perchè".
Un nuovo Umanesimo è possibile davvero? Pensando a chi? Al sindaco santo La Pira?
"La Pira ha incarnato la grande vocazione universale e pacifista di Firenze, che ancora oggi esiste, come abbiamo dimostrato con la manifestazione di pace e solidarietà al popolo ucraino di marzo in piazza Santa Croce. Ma Firenze ha avuto anche sindaci comunisti come Mario Fabiani, il sindaco “operaio”. Ecco, io credo ancora che questa duplice eredità possa alimentare un progetto politico che tenga insieme le diverse culture politiche che hanno dato vita alla Costituzione italiana".
Nardella, l’intervista è finita. Lo sa che ha risposto non solo come sindaco di una grande città, ma anche da candidato leader del Pd?
"Non ci ho pensato...Io mi voglio solo impegnare per un progetto che sappia appassionare di nuovo la gente e la riavvicini alla Politica, con la P maiuscola".