Compagni e amici per una vita, o quasi. La vita dell’ex presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, appena scomparso, e quella Gianni Cervetti, ex Pci, milanese, il tesoriere comunista che tagliò i ponti con i rubli dell’Unione Sovietica, sono andate avanti in parallelo per tanti anni. Entrambi incarnavano la linea riformista del Pci (“non dica migliorista, mi raccomando, quel termine era usato in termini spregiativi nei nostri confronti”, si raccomanda Cervetti, 90 anni compiuti da pochi giorni).
Cervetti, tempo fa lei raccontò: “Il giorno dell’elezione di Napolitano a presidente della Repubblica mi misi a piangere, era la vittoria di tutti noi”. Cosa ricorda di quel 10 maggio 2006?
“Ero nel suo ufficio e si contavano i voti per l’elezione al Colle. Sì, è vero, piansi. Considerai quella una vittoria personale di Napolitano, certo, ma anche un riconoscimento alla politica del Pci e, soprattutto, dell’area riformista del partito”.
Napolitano e lei eravate considerati i “miglioristi del Pci’’...
“No, guardi, le ripeto, si chiama area riformista. Noi l’appellativo di miglioristi l’abbiamo sempre rifiutato. Conosce l’origine di quel termine? Si rifà a una politica degli inizia del Novecento negli Stati Uniti: “miglioristi’’ veniva usato in senso spregiativo. E così veniva utilizzato anche nei confronti di chi come noi, nel Pci, si riconosceva nell’area riformista del partito. Per questo noi non abbiamo mai accettato quella definizione”.
Si ricorda il suo primo incontro con Napolitano?
“Avvenne in spiaggia, stranamente, a Sirolo, nelle Marche. Lui era con la moglie e il suo primo figlio, Giovanni. Anch’io ero con moglie e figlio, viaggiavamo con la tenda. Io sapevo che Giorgio era lì in ferie. Già ci conoscevamo, politicamente parlando, ma non ci eravamo mai visti di persona. Era il 1962”.
Da allora compagni di partito ma anche amici?
“Certo, quando andai a Roma per entrare nella segreteria nazionale del Pci, al congresso del partito del 1974, lui e la moglie Clio furono i primi a invitarmi a cena a casa loro”.
Si ricorda anche delle litigate o delle discussioni con Napolitano sulla linea politica da tenere?
“No”.
Andavate proprio d’accordo...
“Sì, certo, andavamo d’accordo. Ma, sa, erano altri tempi. Adesso si parla spesso di dissensi all’interno dei partiti. La direzione del Pci veniva descritta come un “sancta sanctorum’’ in cui tutti dovevano essere allineati e coperti. Ma non era così. Nella direzione del Pci in cui eravamo io e Napolitano, le discussioni con i compagni erano assolutamente libere, a volte violente. Ognuno esprimeva le proprie opinioni, anche in contrasto con quelle degli altri componenti delle direzione”.
Ma quelle discussioni interne non filtravano mai all’esterno e non venivano raccontate sui giornali. Giusto?
“Sì, era così, raramente emergevano i dissensi nelle discussioni in direzione”.
Il cosiddetto “centralismo democratico’’...
“La linea del partito era quella che emergeva alla fine di quelle riunioni e che veniva impersonata dal segretario del Pci”.
In quelle discussioni lei e Napolitano stavate dalla stessa parte?
“Sì, certo”.
Quand’è l’ultima volta che lei e l’ex presidente vi siete sentiti?
“Qualche giorno fa, quando ho compiuto 90 anni (lo scorso 12 settembre, ndr), Napolitano, attraverso il suo collaboratore Giovanni Matteoli, mi ha mandato una letterina di auguri”.
L’ultimo incontro di persona, invece, a quando risale?
“Risale agli anni in cui io, Giorgio ed Emanuele Macaluso andavamo a mangiare insieme in qualche osteria di Roma. Macaluso è morto nel 2021”.
Altri momenti di gioia vissuti insieme a Napolitano?
“Ricordo alcune passioni che ci hanno accomunato al di là della politica: i bei libri da bibliofili, anche quelli di un certo valore, e poi la musica, in particolare la musica sinfonica”.
Ultima domanda sull’attualità politica. La sinistra attuale le piace? Cosa ne pensa del Pd di Elly Schlein?
“Io vedo innanzitutto una situazione politica che non si può che considerare negativamente. Mi riferisco all’attività del Governo. Ma ho anche alcune critiche sull’opposizione”.