Roma, 10 gennaio 2025 - Dal delitto di via Poma al femminicidio di Nada Cella, per arrivare all’omicidio di Serena Mollicone.
Sono alcuni tra i più noti cold case d’Italia, che hanno avuto svolte improvvise. Per la segretaria uccisa a Chiavari (Genova) il 6 maggio 1996 a febbraio si aprirà il processo. Mentre il gip ha respinto la richiesta di archiviazione per Simonetta Cesaroni. Ed è atteso per l’11 marzo, infine, il verdetto della Cassazione per il delitto di Arce.
La storia per punti
Roberta Bruzzone e i cold case
La criminologa Roberta Bruzzone ha attraversato la storia della cronaca nera in Italia e conosce bene le tre storie, per Serena Mollicone è consulente della famiglia, in particolare di una zia. Che cosa si aspetta per questi cold case? “Sono scettica sulla possibilità di arrivare a una soluzione – spiega al telefono a Quotidiano.net -. E sto sperimentando le difficoltà proprio sul delitto di Arce. Perché una serie di evidenze abbastanza solide, che invece non trovo negli altri due casi, come i frammenti compatibili con la porta sequestrata in caserma, non sono stati considerati sufficienti a convincere i giudici”.
"Le difficoltà del processo indiziario”
All’omicidio di Nada Cella, la criminologa – volto tv e seguitissima nel suo tour in Italia con ‘Favole da incubo’ – ha dedicato un libro, che puntava il dito su un killer donna, secondo la sua analisi molto a proprio agio nell’ufficio del commercialista dove è stata trovata uccisa la segretaria 25enne. Pista alternativa, però, a quella di Anna Lucia Cecere, che a febbraio andrà a processo con il commercialista Marco Soracco e la madre di lui, Marisa Bacchioni. Ricorda Bruzzone: “Il gup che per primo ha dovuto valutare il possibile rinvio a giudizio aveva ritenuto di non farlo, poi la Corte d’appello ha ribaltato tutto dicendo, questa vicenda merita il processo che non c’è mai stato. Ci auguriamo tutti che possa essere utile. Ma ricordo che gli elementi probatori sono di natura indiziaria. Credo che difficilmente si potrà arrivare a una condanna”.
Secondo la criminologa, “Soracco, che ha avuto danni inenarrabili dopo il delitto, se avesse saputo qualcosa avrebbe parlato. E lo stesso avrebbe fatto la madre, molto protettiva verso di lui. Così si sarebbero sottratti a una macelleria totale”.
I cold case e gli errori investigativi
Ma sulla base della sua esperienza, quando un delitto diventa cold case ci sono sempre errori nelle indagini, all’inizio? “Di solito è così – riconosce Bruzzone –. Magari sono investigazioni condotte in maniera non impeccabile , non si è centrato l’obiettivo. Penso a via Poma, alle cose andate storte fin dall’inizio, una serie di informazioni sono state acquisite in modo non completo. Il primo interrogatorio di un sospettato, ad esempio, è un verbale estremamente scarno, nessuno gli ha nemmeno chiesto che alibi avesse. Poi la stessa persona dieci anni dopo, quando viene trovato il Dna su un corpetto, è stata messa sotto torchio”. Troppo tardi.
La difficoltà dei testimoni che non ricordano
Ma cosa si aspetta dalla Cassazione sul delitto di Serena Mollicone? “Sinceramente sono molto poco ottimista – è diretta la criminologa -. Perché resta sempre il grosso problema delle testimonianze fragili, di chi non ricorda, dopo così tanto tempo. I frammenti della porta trovati nel nastro adesivo che circondava il volto e tra i capelli della vittima erano compatibili con la porta rotta sequestrata in caserma. Eppure nemmeno quel dato da solo non è stato considerato abbastanza per superare i ragionevoli dubbi”.