Chiavari (Genova), 23 novembre 2024 - Nada Cella “era una farfalla”. Antonella Delfino Pesce è la criminologa che ha fatto riaprire il cold case. Ora la nuova svolta: a febbraio in tre vanno a processo, dopo 29 anni, per l’omicidio della giovane segretaria di Chiavari (Genova), era il 6 maggio 1996. Accusata del delitto Anna Lucia Cecere (che si dichiara innocente); devono rispondere invece di favoreggiamento il commercialista Marco Soracco, dove Nada lavorava, e la madre Marisa Bacchioni.
All’inizio di questo delitto, c’è chi ha dimostrato “una presunzione enorme“: questo il vizio capitale delle indagini, secondo la criminologa.
La storia per punti
Il diario di Nada Cella, “sono molto timida“
Oggi Antonella Delfino Pesce, che ha conosciuto Nada sui faldoni dell’inchiesta, pubblica un post su Facebook e rivela i pensieri che la ragazza confidava al suo diario. Scrive la 25enne: “Sono molto timida, basta una sciocchezza per farmi sentire in imbarazzo e questo mio essere imbranata viene considerato il più delle volte come superbia e arroganza. Inoltre cerco di essere più indipendente possibile e questo per me ha significato cercare di non essere mai di peso e non confidarmi con nessuno. Mamma, ho cercato tante volte di dirti che ti voglio bene. Quando ti compravo i regali a Natale volevo scriverti dei bigliettini ma non ci sono mai riuscita e vorrei dirtelo adesso perché so che tu vorresti sentirtelo dire e perché a volte ho paura di perdere le persone che amo di più senza che queste sappiano quanto gli voglio bene”.
La svolta e il processo dopo quasi 30 anni
Dottoressa Delfino Pesce, si aspettava di arrivare al processo? “Diciamo che sono sempre rimasta con i piedi per terra. A Silvana ( la mamma di Nada, ndr) avevo detto proprio questo, non ti illudere di arrivare a una riapertura. Mi ripetevo, andrà tutto male. Ma dicevo a me stessa, ricordati di continuare. Ed è stato proprio così. Ringrazio enormemente la procura, non è facile trovare uffici che vadano a scavare così a fondo, dopo tanti anni”.
"Vi racconto com’era Nada Cella”
Com’è la Nada che ha conosciuto attraverso le carte? “Nada era una farfalla, una persona delicata, molto umile, che pensava a migliorarsi. Nel suo diario si rammarica ad esempio di non dire ai genitori quanto volesse loro bene. Questi erano i suoi pensieri”. Nel 2021 ha fatto riaprire il caso grazie al verbale dei bottoni, e tutto nasce da un master. “Già, avevo deciso di seguire quel percorso perché mi sarebbe piaciuto passare alla genetica forense”. Il bottone trovato sotto il cadavere e quelli sequestrati a casa di Cecere. C’è chi ha obiettato: sono diversi. “Non sono diversi – obietta la criminologa -, solo che nella colluttazione si è spaccata la corona in plastica che era tutto attorno a un nucleo centrale, in metallo”.
Processo indiziario gli elementi cardine
Cecere si dichiara innocente. Sarà un processo indiziario, senza ’pistola fumante’. “Naturalmente quando c’è un dna, la strada è tracciata – osserva Delino Pesce -. In questo caso, invece, sarà una guerra. Io mi occupo di accompagnare la famiglia alla riapertura del caso, ora va avanti l’avvocato”. Qual è a suo giudizio l’elemento cardine? “Intanto bisogna conoscere la storia, che è davvero molto complessa. E analizzare gli elementi indiziari tutti insieme, che delineano un quadro accusatorio molto importante. Già arrivare al processo è stata un’agonia, è sempre stato tutto contro”. Se ripensa al suo lavoro di questi anni. “È iniziato nel 2018 ed è terminato nel 2021, quando si è riaperta l’indagine”. Terminato, si fa per dire... “In effetti finito no, era difficile starci lontano”. Le era mai capitata la riapertura di un caso dopo così tanti anni? “Mai, con Nada ho provato tante prime volte”.
Un delitto che era stato dimenticato
Un delitto che a un certo punto era stato dimenticato. “Nada era perfetta per questo- osserva Antonella Delfino Pesce -. Ingenua, garbata, lavoratrice, senza grilli per la testa. Ha fatto una morte ingiusta. Il suo omicidio dimostra che può capitare a tutti noi di imbattersi in una persona sbagliata, senza averne coscienza”.
“La città tra partecipazione e qualche caso di omertà”
Come ha reagito la città? “Io la vedo spaccata a metà, ci sono persone eccezionali che hanno fatto molto più di quello che dovevano. E poi ci sono persone che non hanno mai parlato”. C’è stata omertà? “In alcuni casi sì. In altri, invece, c’è chi ha voluto dare assolutamente un contributo”.
“Che cosa mi aspetto dal processo”
C’è una testimonianza che potrebbe dare elementi ulteriori? “Sì, sì, sicuramente c’è qualcuno che sa molto più di quello che magari non ha mai detto”, è l’analisi della criminologa. Emotivamente quest’esperienza cosa le ha lasciato? “Dopo il proscioglimento, a marzo, mi sono venuti i capelli bianchi. Se devo fare un bilancio, credo di aver vissuto un’esperienza incredibile”.