
Daniele Borghi porta la musica in Pediatria
Magenta, 18 gennaio 2015 - Da tre giorni gli infermieri cercavano una vena nel piccolo braccio di Sara, otto anni, per un prelievo. Niente da fare: nonostante gli innumerevoli tentativi quel corpicino non voleva saperne di collaborare. Poi, Daniele lancia la sfida: «Scommettiamo che con la musica la vena esce dal suo nascondiglio?». La bambina suona una campana tibetana, uno strumento particolare ricco di vibrazioni e, dopo qualche minuto, gli infermieri vanno a colpo sicuro e il prelievo è presto fatto. «Hai visto, Dani? Avevi ragione tu» dice Sara, e il suo sorriso sembra dissipare per un attimo la nube di paura e sofferenza. Quella in cui si imbatte ogni paziente e visitatore di qualsiasi reparto pediatrico ospedaliero. Dani è Daniele Borghi, 27 anni, musicoterapeuta professionista conosciuto nel Magentino come violinista dei Gamba de Legn, e cioè come l’artista che ha saputo fondere la veracità del dialetto milanese con la struggente classicità degli archi. Ma non è sul palcoscenico che nella vita Daniele Borghi ha dato il meglio, bensì fra le corsie dell’ospedale San Gerardo di Monza, reparto Pediatria.
Borghi, quali sono le linee guida della sua attività?
«Qui ho messo in pratica ciò che avevo studiato, con l’intenzione di lavorare sulla tesi di laurea. Ho applicato il metodo di Orff, modello in cui la comunicazione e l’improvvisazione sono basilari non solo per l’insegnamento della musica, ma anche per il suo uso nell’ambito di una terapia medica e così, grazie alla collaborazione con il gruppo Maria Letizia Verga, è nato questo progetto all’ospedale di Monza».
Un progetto che si chiama “Al di là della musica”. Come mai questo nome?
«Le sette note sono sempre state parte della mia vita, fin da quando ero bambino. Crescendo ho sentito il bisogno di aiutare gli altri mettendo a loro disposizione la mia passione. Ho capito che la musica non è solo uno spartito da seguire fedelmente, non è solo questione di note e ritmi. È aggregazione, colonna sonora dei momenti felici della vita come di quelli tristi. E in un ospedale pediatrico di momenti tristi ce ne sono davvero tanti».
Come si struttura il progetto?
«Per ora sono a Monza una volta a settimana, ma il mio intento è quello di aumentare la frequenza anche per seguire meglio i piccoli pazienti e creare un rapporto sempre più stretto. Con loro lavoriamo sul canto o con gli strumenti, lasciando spazio all’improvvisazione. Facciamo delle piccole jam session, insomma, e mi sento di poter dire che la musicoterapia aiuta i bambini a stare meglio anche se, sfortunatamente, non è la soluzione a grandi mali davanti ai quali mi trovo di fronte».
È dura avere a che fare con bambini anche piccolissimi che lottano contro gravi malattie?
«Sì, ma non bisogna lasciarsi prendere dallo sconforto nè trasmettere pessimismo. I bambini sono maestri nel regalare emozioni forti senza condizionamenti, per questo su di loro la musicoterapia è così efficace».
Lavora solo con i bambini?
«No, anche con gli anziani: collaboro con due Rsa della provincia di Milano. Il metodo usato è differente, ma lo spirito alla base del lavoro è lo stesso. Bambini e anziani, i capi estremi del circolo della vita, sono molto simili tra loro».