Suisio, 31 agosto 2024 – “Dovevo uccidere qualcuno”. Questa è l’incredibile dichiarazione, fra le altre, rilasciata agli investigatori da Moussa Sangare, assassino reo confesso della barista di Terno d’Isola Sharon Verzeni.
Parole che fanno presupporre una scelta del tutto casuale della vittima, ma che avvalorano la tesi di un’intenzione omicidiaria chiara e – forse – maturata nel corso del tempo. Magari nei lunghi giorni passati a fare niente, fra sballo a base di droga e vagabondaggi sul monopattino, dopo aver perso l’ultimo lavoro da pony express per la consegna delle pizze a domicilio.
Le quattro lame
Queste sue parole, ma soprattutto alcuni ritrovamenti considerati di interesse nel corso degli accertamenti, hanno convinto gli investigatori a muovere all’aspirante rapper la contestazione della premeditazione.
Innanzitutto pesa la circostanza che Sangare, la notte in cui si è accanito contro Sharon, fosse uscito di casa con quattro coltelli, presi dal ceppo che si trova in cucina. Tre li avrebbe gettati nell’Adda, dopo l’assassinio, insieme ai vestiti che indossava al momento dell’omicidio.
La lama con la quale ha colpito la barista, uscita per una passeggiata notturna, sarebbe stata sotterrata nella zona del greto, in territorio di Medolago.
La sagoma per gli esercizi
Oltre all’armamentario portato con sé prima di fare rotta su Terno d’Isola e accoltellare Sharon, ha fatto suonare un “campanello d’allarme” anche un singolare oggetto recuperato nell’abitazione in cui Sangare risiede, un appartamento occupato abusivamente sotto casa della famiglia.
In camera, infatti, è stata recuperata una sagoma in cartone dalle fattezze umane. Su tutta la silhouette sono stati trovati tagli e fenditure. Chi indaga è convinto che il cartonato fosse utilizzato dal trentunenne per esercitarsi nel lancio dei coltelli. Così si spiegano tutti i segni. L’artigianale bersaglio è stato posto sotto sequestro.