Mercoledì 26 Marzo 2025
CLAUDIA MARIN
Cronaca

Morti sul lavoro, il giurista: le leggi non bastano. “Serve una coscienza collettiva”

Il professor Del Conte: le imprese non siano passive, i dipendenti possono controllare le misure di prevenzione

Una manifestazione di protesta contro i morti sul lavoro

Una manifestazione di protesta contro i morti sul lavoro

Roma, 26 marzo 2025 –  “La normativa italiana in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro è tra le più avanzate a livello europeo. Ciò non significa che non sia perfettibile, soprattutto nella parte dei controlli e della sua applicazione concreta. Ma, di fronte ai numeri degli infortuni che continuano a registrarsi nel nostro Paese, occorre chiedersi quali siano le radici più profonde di questa piaga sociale. E ci dobbiamo interrogare su come e quanto imprese e sindacati si siano sin qui impegnati per affrontarla e sconfiggerla”. È netto Maurizio Del Conte, professore ordinario di Diritto del lavoro alla Bocconi, uno dei principali “registi” delle riforme del settore in Italia.

Nicola Scignano, Daniele Tafa e Umberto Rosito, le tre vittime sul lavoro
Nicola Scignano, Daniele Tafa e Umberto Rosito, le tre vittime sul lavoro

Ritiene che sindacati e imprese non facciano completamente la loro parte sul fronte della sicurezza?

“Partiamo da una considerazione quasi ovvia: la sicurezza nei luoghi di lavoro dovrebbe essere il primo degli obiettivi di chi fa impresa e di chi fa sindacato. Eppure se, ipoteticamente, si facesse un “censimento” della sicurezza nel nostro Paese, scopriremmo che non sempre è così”.

C’è scarsa “cultura” della sicurezza?

“Non credo che il problema si possa spiegare semplicemente con la scarsa cultura della sicurezza. È, piuttosto, una questione di priorità. Imprese e sindacati sono impegnati quotidianamente su moltissimi fronti e non sempre quello della sicurezza è al primo posto. Anche nel dibattito pubblico è facile trovare i temi della occupazione, dei bassi salari, dello sfruttamento, della trasformazione tecnologica. Di sicurezza sul lavoro si parla, è vero. Ma di solito lo si fa all’indomani di una tragedia, per piangere le vite perdute e aggiornare il macabro contatore delle vittime del lavoro”.

Come affrontare, dunque, questa tragedia, andando oltre le leggi?

“Per abbattere gli infortuni è necessaria una rinnovata presa di coscienza collettiva. A partire dalle imprese, certamente. Ma anche dai lavoratori e dai loro rappresentanti. Già nel 1970 lo Statuto dei lavoratori aveva previsto che i lavoratori, mediante loro rappresentanze, avessero diritto di controllare l’applicazione delle norme per la prevenzione degli infortuni e delle malattie professionali e di promuovere la ricerca, l’elaborazione e l’attuazione di tutte le misure idonee a tutelare la loro salute e la loro integrità fisica. Una norma bellissima e molto avanzata per l’epoca. Ma quanto è stata davvero applicata?”.

È rimasta sulla carta?

“Il presidio della sicurezza parte innanzitutto da chi la vive quotidianamente. La sicurezza non deve essere materia negoziabile e i sindacati non devono mai stancarsi di esercitare il loro diritto-dovere di partecipare alla tutela della salute di chi lavora, con ogni mezzo a loro disposizione”.

E sul fronte delle imprese, che cosa manca?

“Da parte delle imprese non può esserci un atteggiamento passivo nella applicazione delle misure prevenzionistiche. La tutela della salute non deve essere intesa come un adempimento burocratico, ma come il più importante degli investimenti produttivi. E tra gli strumenti più efficaci c’è quello della formazione. Che non è solo la formazione specifica obbligatoria in materia di prevenzione degli infortuni, ma è anche la formazione delle competenze. Quella formazione professionale che è il grande convitato di pietra del sistema produttivo italiano”.