Martedì 14 Gennaio 2025
MICHELE CARLETTI
Cronaca

Morti investiti a Senigallia, il fratello di Michele Scarponi: “Ciclisti arrabbiatevi”

Marco Torcianti e Sara Ragni erano sposati da otto mesi: sono stati travolti sull’Adriatica. Marco Scarponi: "In strada non siamo tutti uguali. Il messaggio sia chiaro”. E sull’incidente di suo fratello: “In questi anni non è cambiato niente, la politica ha responsabilità”

L'incidente a Senigallia dove hanno perso la vita Sara Ragni, 36 anni e Marco Torcianti, 47 anni

L'incidente a Senigallia dove hanno perso la vita Sara Ragni, 36 anni e Marco Torcianti, 47 anni

Senigallia (Ancona), 14 agosto 2024 – “Mi rivolgo a tutti, ma soprattutto agli adulti, di prendere seria coscienza che quando guidano un’automobile guidano un’arma e quindi hanno una grande responsabilità verso loro stessi, ma anche verso le altre persone. Basta poco per uccidere e soprattutto sulla strada non ci sono solo gli automobilisti, ma anche chi va in bici e a piedi. Quindi rallentare, non usare il cellulare, magari non prendere l’auto per brevi tragitti. Tutto contribuisce a salvare vite sulla strada. Siamo tutti coinvolti, nessuno assolto”.

Nella foto principale: Michele Scarponi, deceduto nell'aprile 2017. Nel tondo suo fratello Marco, che lotta in favore di strade più sicure per i ciclisti
Nella foto principale: Michele Scarponi, deceduto nell'aprile 2017. Nel tondo suo fratello Marco, che lotta in favore di strade più sicure per i ciclisti

Chi parla è Marco Scarponi che ha perso il fratello, Michele, campione filottranese di ciclismo, nell’aprile 2017 in un incidente stradale mentre il capitano dell’Astana si allenava sulle strade di casa in vista del Giro d’Italia. Ieri, all’ora di pranzo, altri due ciclisti investiti, Marco Torcianti e Sara Ragni, sulla statale 16 Adriatica tra Senigallia e Marzocca. “Siamo tutti attoniti, senza parole di fronte a un’altra tragedia – continua Marco Scarponi che è anche segretario della Fondazione Scarponi – Vorrei invitare tutti i ciclisti ad arrabbiarsi, protestare, indignarsi. Dagli amatori ai bambini fino gli anziani, a segnalare tutte le ingiustizie che avvengono sulla strada. C’è bisogno di tutti, a convincersi tutti insieme che possiamo cambiare, non possiamo dimenticare più niente. Tutti devono impegnarsi e partecipare a questa battaglia. Non è più possibile andare avanti in questo modo. Incazzatevi”.

Rabbia, tanta, ma non rassegnazione. Anche se poco è stato fatto in questa Italia che è in forte ritardo rispetto ad altri paesi europei. “Non riesco a scrivere neanche più un post sui social. A volte rimango senza parole. È cambiato poco o niente in questi anni, non sappiamo ancora perché non riusciamo a mettere in sicurezza i più fragili. Anche oggi (ieri, ndr) sono morti due ciclisti con la vita delle rispettive famiglie distrutta. Adesso cambierà qualcosa o aspetteremo la prossima tragedia? Cerchiamo di fare sensibilizzazione, cambiare il codice della strada, ma si sente ripetere in giro tutti i giorni sempre ’ma i ciclisti, ma i ciclisti’ senza che nessuno esca dall’auto per vedere com’è la strada, come deve essere la strada”.

Manca la cultura in questo Paese. “C’è un enorme problema culturale che va preso di petto con investimenti seri. Bisogna cambiare la testa delle persone, continuare così è un’ingiustizia continua. È vero, se ne parla di più, ma non si va in quella direzione che sono andati altri paesi europei, non si prende in mano il tema della violenza stradale seriamente e pensare che è la prima causa di morte di tante ragazze e ragazzi”.

Servono investimenti seri. “Sulle infrastrutture, sui controlli, sull’educazione. Abbiamo una rete stradale che mette continuamente in pericolo i più fragili perché è basata sull’automobile. Si fa poca comunicazione, poca educazione. Dobbiamo capire che sulla strada non siamo tutti uguali”. E la politica è immobile, quasi indifferente. “Il problema della violenza stradale è soprattutto un problema politico, di scelte. Non si fanno campagne serie sulla sicurezza, non si prendono provvedimenti seri sulle strade. Siamo in ritardo di decenni rispetto ad altri paesi europei che hanno portato un’altra cultura della strada rispetto a noi. E allora di cosa stiamo parlando? il problema è di una politica che continua a girarsi dall’altra parte. E tutto questo ci porta ad avere molti più morti rispetto ad altri paesi”.