Rita Levi Montalcini si presentò al cocktail cui sarebbe seguito il simposio di scienziati (tutti di sesso maschile, naturalmente). Qualcuno, nel porgerle il calice insinuò: “Lei è la moglie del dottor…?”, come a rimarcare la singolarità di una presenza femminile. La scienziata, ferma, rispose: “Io sono mio marito!” Questo per farvi capire che, tale mente non poteva non partorire un elogio dell’imperfezione. A stupirmi non è solo l’esaltazione del non conforme ai canoni, ma l’attualità del pensiero. Il limite dell’umanità tende al perfetto. Sono i mezzi che adoperiamo per raggiungere lo scopo che testimoniano un percorso sbagliato. Delegare a terzi – intelligenza artificiale in primis - l’intero bagaglio dell’umano sapere impoverisce ogni nostro sogno di conoscenza. Illuderci poi di raggiungere il predominio attraverso prevaricazioni, guerre, discriminazioni e attentati, non fa che ricacciarci indietro lungo l’asse del progresso. Ben venga allora l’imperfetto.
Fallace perché umano ma, come tale, in grado di dare il proprio contributo all’evoluzione della specie. E Dio sa, in momenti come questo, quanto abbiamo bisogno di evolverci e di assumere iniziative comuni perché il genere vivente sopravviva il più a lungo possibile. A proposito di Dio e dell’imperfezione, pensate ai grandi architetti medievali. Uomini d’ingegno capaci di erigere cattedrali pronte a sfidare il cielo. Nel gioco di forze imponderabili che consentivano la stabilità di quei colossi pesanti milioni di tonnellate, il fattore predominante era traguardare la perfezione in ognuno dei processi di realizzazione. Ma l’unico essere perfetto è Dio e l’uomo è troppo piccolo per tentare d’emularlo. Così i maestri muratori inserivano volontariamente un particolare sbagliato nell’edificio. E, traguardando l’imperfetto, si avvicinavano a Dio. Chissà se Rita Levi Montalcini avrà pensato alla perfezione divina quando ha detto al mondo che ogni carenza aiuta la ragione a migliorarsi…