Roma, 4 novembre 2020 - Cresce la pressione sui camici bianchi, chiamati a seguire un mare di pazienti Covid con mezzi limitati. Insorgono gli specialisti perché le malattie infettive distolgono l’attenzione dalle cronicità, altrettanto impegnative: cardiopatie, asma, complicanze del diabete. A dare fuoco alle polveri è stata Ester Pasetti, primario psichiatra a Piacenza e segretario del sindacato Anaao-Assomed dell’Emilia-Romagna: "Trasformare interi presidi in covid hospital - ha scritto la dottoressa - suona come l’ennesima sconfitta. Avanti di questo passo i nosocomi si trasformeranno in lazzaretti".
Bollettino Covid del 4 novembre
Tanti letti sono occupati da accessi impropri: le ambulanze scaricano al pronto soccorso di tutto, anche i cosiddetti casi sociali. Sono in buona parte anziani malandati, rimasti senza parenti, che non sai più a chi affidare. "La politica faccia un esame di coscienza - ribatte Domenico Crisarà, medico di famiglia a Padova e vicesegretario Fimmg - ci dovrebbero essere le Unità speciali di continuità assistenziale (Usca) varate col decreto Cura Italia, a dare supporto nel territorio, ma questi supporti noi non li vediamo".
I guasti del Coronavirus vanno oltre, si sommano alle cosiddette patologie concomitanti. Da una indagine su 4.200 cartelle cliniche analizzate dall’Istituto Superiore di Sanità relative alle prognosi Covid-19, emerge che il 62,6% dei decessi era caratterizzato da un incrocio di più patologie. La cardiopatia era presente nel 28% dei casi, la fibrillazione atriale nel 23,4%, lo scompenso cardiaco nel 16%, l’ictus nel 10,6%. L’ipertensione arteriosa compare nel 65,8% dei referti, il diabete degli adulti nel 29,5% dei soggetti censiti, mentre l’obesità incide per il 10,4%. "Questi dati - commenta il cardiologo Francesco Romeo, segretario generale della Foce, confederazione oncologia, cardiologia ed ematologia - mostrano come la prevenzione sia cruciale, anche durante la pandemia".
Monta in parallelo la rabbia negli operatori sanitari, che si sentono trascurati e sfruttati, al punto che il presidente della Federazione dei medici Cimo-Fesmed, l’epidemiologo Guido Quici, ha preso carta e penna e ha scritto una lettera accorata recapitata al dicastero della salute, da consegnare espressamente al ministro Roberto Speranza, sollecitando un segnale nei confronti del personale che è stato spostato in blocco in aree Covid senza la necessaria formazione, con le riconversioni.
Ma perché l’idea di trasferire settori chiave dell’assistenza sul territorio, che ispira il modello veneto-emiliano, quello che ha mostrato maggiori capacità di reazione, resta una bella incompiuta? L’accordo fu sancito tre anni fa dalla Conferenza Stato Regioni, e nessuno finora ha voluto dare la spallata decisiva per mettere in soffitta gli schemi del passato. "La pandemia sembra ora convincere tutti che bisogna spingere nella direzione strategica del cambiamento – ha dichiarato Paolo Guzzonato, farmacologo di Motore Sanità – si tenga presente che la spesa a livello Ue per le malattie croniche è pari a 700 miliardi l’anno, e in Italia i malati cronici da seguire sono 24 milioni".
Dunque il punto è: come smontare l’isteria collettiva nei riguardi del Sars-Cov-2, decongestionare gli ospedali e riportare l’attenzione sulle cronicità? Tira le fila, da Firenze, Claudio Cricelli, presidente Simg, voce dei medici di medicina generale. "Occorre allestire team delle cure primarie - ha commentato ieri Cricelli - ambulatori attrezzati con ecografi, elettrocardiografo, spirometria, stipulare contratti di esercizio che comprendano gli infermieri e procedere agli investimenti già finanziati dal decreto di dicembre. Qui è passato un anno e nessuno ha visto nulla. Protezioni e DPI sono insufficienti". Su 30mila positivi, mille si ricoverano. Degli altri 29mila si occupano i medici di famiglia.