Giovedì 12 Dicembre 2024
GUIDO BANDERA
Cronaca

L’archistar Cucinella, “Milano ha saputo intercettare il futuro, ma diseguaglianze e tensioni sono cresciute”

L’architetto autore del Padiglione Italia all’Expo di Osaka si divide fra la metropoli lombarda e Bologna. “È l’unica città-destinazione d’Italia per investire, lavorare e studiare ma il divario fra le zone riqualificate e attraenti e le periferie va colmato. L’insicurezza? Non ho questa percezione”

In alto, uno dei quartieri più "chic" di Milano: Citylife negli spazi della vecchia fiera. In basso a sinistra, l'architetto Mario Cucinella, a destra le manifestazioni al Corvetto dopo la morte di Ramy Elgaml

In alto, uno dei quartieri più "chic" di Milano: Citylife negli spazi della vecchia fiera. In basso a sinistra, l'architetto Mario Cucinella, a destra le manifestazioni al Corvetto dopo la morte di Ramy Elgaml

Milano, 6 dicembre 2024 – Ricca, coraggiosa, felice. Ma anche fragile, con pezzi di tessuto in crisi, in ombra. Milano che splende e si rinnova, Milano sul lato oscuro della Luna. Mario Cucinella, l’architetto che ha immaginato il padiglione Italia all’Expo 2025 di Osaka come rappresentazione della città ideale, si interroga sul futuro di quella reale nella quale vive, dividendosi con Bologna. 

Architetto, sarà banale parlare di una Milano fatta di contrasti, ma non è raro che la si veda sotto questa luce: la sua diagnosi?

“Una città che ha accettato la sfida del futuro, forse l’unica in Italia che ha accolto l’architettura contemporanea, che si è rinnovata anche grazie alla collaborazione fra pubblico e privato. Una spinta interessante, un fenomeno che è anche politico, che ha puntato a recuperare il gap con l’Europa”.

C’è un ma?

“La conseguenza sono stati grandi cambiamenti, ma anche un problema di disuguaglianze che sono cresciute. Possiamo dirlo chiaramente: questa grande espansione in città ha generato molta ricchezza, vent’anni di guadagni elevati, ma la ricaduta è stata solo su un cerchio ristretto, senza un miglioramento della vita diffuso. Si parla tanto di sostenibilità e anche la città è un ecosistema: se ci si occupa solo di un segmento, il resto soffre. Serve una vera politica sociale, non interventi spot, ma di lungo periodo”.

Cosa è mancato?

“Il ruolo pubblico, la politica che progetta interventi sociali, che tiene insieme le diverse dimensioni. E non è una questione solo cittadina, ma anche nazionale. C’è una città ricca, felice, con una vita notturna vivace, ma anche una che da questa euforia è esclusa”.

In questo boom un po’ disordinato ci vede anche qualche responsabilità degli architetti: c’è dell’autocritica da fare?

“Non penso sinceramente abbiamo avuto un ruolo così importante. Rispondiamo alla domanda del mercato e anche del settore pubblico, quando ci coinvolge e immagina interventi. Per quella che è la mia esperienza con SeiMilano, il progetto di Bisceglie, si è riusciti a offrire case a un costo abbastanza calmierato rispetto alle medie milanesi, con un grande parco…”.

Il buco nero restano però i vecchi quartieri popolari: c’è una distanza enorme fra i grandi palazzoni la realtà scintillante della contemporaneità. Cosa è successo?

“È mancata la politica della casa, questi insediamenti Aler, enormi e che non creano rendite, non hanno ricevuto attenzione, non ci sono stati interventi di miglioramento, anche architettonico: eppure lo Stato sociale è anche questo. Neppure il bonus 110% ha inciso. Eppure questo non è un costo, ma un investimento sociale”.

Lei con Renzo Piano si occupò di un progetto dedicato alle periferie…

“Partendo dall’idea della ricucitura, dei piccoli passi. La politica invece preferisce i grandi interventi miliardari”.

Le elezioni hanno tempi rapidi, i piccoli passi no…

“Ma senza visione a vent’anni la politica delle modifiche non funziona”.

Come è cambiato il carattere della città?

“Negli ultimi vent’anni appare più felice, appunto, più allegra. Ma è come se ci fossero due orologi: uno che corre veloce, uno che si muove piano… E a lungo termine questo genera tensioni sociali. C’è il lato splendente e qualcosa che è in ombra, il lato oscuro della Luna. Anche il Pnrr era una grande occasione”.

Era?

“Mi sembra che abbia agito molto sul pubblico, sulla ricerca, sull’università, sui musei e sulle infrastrutture. Sulla casa pubblica e sul sociale meno…”.

Perché?

“Forse c’è un po’ di pregiudizio politico. Come per le carceri, si è restii a investire sui quartieri popolari, forse anche per l’elevata quota di immigrazione. Ma quel che non si rigenera, degenera…”.

Questa politica…

“Guardi, non me la prenderei troppo coi sindaci. Regole complesse, la burocrazia: progettare interventi è complesso. Ma le operazioni immobiliari hanno generato tanti oneri di urbanizzazione, se ne sarebbe potuta destinare una parte maggiore alle zone più in sofferenza…”.

Eppure Milano ha cambiato volto.

“È l’unica vera città-destinazione d’Italia, per il lavoro, per investire, per studiare”.

Un difetto vero e un pregio di Milano oggi?

“Nonostante quel che si dica, non ho una percezione di insicurezza: forse frequento luoghi non esposti, ma non vivo in centro. Questo mi sembra un aspetto positivo. C’è chi critica l’espansione di quella che si definisce città del cibo: aperitivi, ristoranti… Certo, l’aspetto del consumo esiste, ma è cresciuta tanto anche l’offerta culturale, i musei. Il difetto, invece, sono i quartieri periferici poco curati. Forse un tempo si notava di meno la differenza, ma dopo il cambio di passo di alcune zone lo stacco si vede di più. Per aumentarne la qualità si dovrebbe usare il sistema sperimentato a Barcellona con le Olimpiadi: un team di giovani architetti, incaricati di guardare i quartieri passo passo: il marciapiede, la pensilina, il parco, qui servirebbe una scuola…. Abbiamo smesso di progettare quei grandi insediamenti calati dall’alto, non sapendo come vive chi ci va ad abitare. Ora bisogna migliorare partendo dal piccolo”.

Le Olimpiadi saranno un’opportunità?

“Sembrano lontane, ma sono molto vicine. L’Expo è stata una grande opportunità di sviluppo economico, anche di speculazione. Sul 2026, peccato per i ritardi con l’arena di Santa Giulia: quella è l’occasione di ricucire un pezzo di città, un altro quartiere da riconnettere…». La politica dell’ago e del filo. Sociale e architettonica.

3 - continua