Roma, 10 maggio 2020 - Michelangelo Pistoletto è sopravvissuto al Covid-19. Il maestro dell’Arte povera, 87 anni a giugno, è tornato a casa dopo un mese in ospedale a Biella. È scampato al virus che invece si è portato via Germano Celant, critico d’arte e amico da più di mezzo secolo. "Germano purtroppo aveva problemi di salute precedenti e poi sono intervenute delle complicazioni... Ho perso una delle persone con le quali avevo un rapporto molto stretto nel mondo dell’arte, stavamo lavorando insieme, avevamo progetti, tante cose da fare".
Un ricordo della sua esperienza in ospedale? "Quando veniva sera, prima di addormentarmi mi cullavo nell’idea che avrei vissuto in un mondo diverso da quello che stavo vivendo. E poi sognavo, mi sono sempre lasciato portare dai sogni. E non mi sono mai posto il problema di non avere un dopo. Forse se fossi stato in una situazione più grave avrei pensato alla morte, ma per fortuna non ero intubato. Avevo sempre la maschera dell’ossigeno, sapevo e vedevo che mi stavano curando: mi sono trovato davanti a un’efficienza straordinaria".
Se ci affacciamo in questo momento a uno dei suoi quadri specchianti, cosa vediamo? "Vediamo la realtà forte che abbiamo davanti. Il quadro specchiante ci mette di fronte a noi stessi: quello che abbiamo fatto, quello che siamo ma anche quello che stiamo per fare. Sarebbe grave se una situazione così tragica, mondiale, non ci facesse capire come possiamo uscire cambiati e migliorati da questa esperienza. Dobbiamo essere capaci di organizzarci secondo il concetto della democrazia dove tutti sono responsabili, tutti devono partecipare e avere il controllo, tutti devono sapere cosa succede. È davvero il momento delle responsabilità. Così come per riprendere il lavoro dobbiamo assumere la responsabilità di usare mascherine e guanti, dopo questa capacità si diffonde e si manifesta in tutti gli ambiti della vita di tutti".
La gente comune diventa protagonista, come nelle sue opere. "Nel quadro specchiante, io autore mi sono trovato a essere protagonista del mio lavoro insieme a tutti gli altri che ci passano davanti. Loro sono nel quadro insieme a me e quindi è la società intera che diventa parte dell’opera d’arte. Adesso però dobbiamo fare l’opera d’arte pratica, non più solo virtuale del quadro specchiante: siamo tutti davanti al nostro specchio e tutti quanti collaboriamo, non stiamo solo a guardare se siamo ben pettinati o abbiamo la barba ben tagliata...".
Che cosa vuol dire? "Che ci dobbiamo proteggere da situazioni devastanti come questa. La scienza e la tecnologia devono trovare un equilibrio con la natura, che fa il suo corso, certo, ma noi non dobbiamo provocarla fino al punto di averne dei danni. Dobbiamo invece ricavarne dei benefici, trovando ad esempio nuove fonti di energia, un’energia pulita che sostituisca quella sporca che finora abbiamo buttato nell’aria. Deve nascere una grande nuova economia che crei un cambiamento forte, come quello del passaggio dal cavallo all’automobile. È il concetto che portiamo avanti a Cittadellarte, che è la mia opera attiva, con il simbolo del Terzo Paradiso che è la sua guida".
La base della sua ricerca artistica diventa messaggio sociale. È così? "La mia non è un’accademia dove l’artista sviluppa la propria individualità ma un centro nato per mettere in rapporto l’arte con l’economia, la politica, le religione, la moda... tutto è collegato in una rete operativa generale di trasformazione e rigenerazione della società. Questa è l’opera alla quale sto lavorando da più di vent’anni. Il nostro progetto è rappresentato da tre cerchi consecutivi, sviluppo del simbolo dell’infinito. La virtualità e la realtà sono i cerchi esterni e in mezzo, nel cerchio grande, la regola che permette a realtà e virtualità di reggere una nuova situazione".