San Sebastiano al Vesuvio è un dormitorio puntellato dalle pendici del vulcano. Qui i ragazzi dei vicini quartieri Ponticelli e San Giovanni a Teduccio trascorrono le notti, tracannando shottini, fumando erba e parlando di progetti che, forse, non si realizzeranno mai. Mezzanotte è passata da un bel po’, quando Santo Romano, per tutti ‘Santino’ nonostante sia un marcantonio di 19 anni, incensurato, portiere dell’Asd Micri, squadra di Eccellenza di Pomigliano d’Arco, esce da un baretto. Non è chiaro quello che succede, forse nella fretta pesta un piede a un altro e gli sporca la scarpa. Una banalità, un ‘fallo involontario’, la lite si accende e si spegne quasi subito, tra improperi e qualche spintone. Sembra tutto finito, Santino si allontana con tre suoi amici, l’altro si dilegua a bordo di una minicar nera, forse una Smart.
Pochi minuti dopo, intorno alle 00:40, si presenta sgommando in piazza Capasso e tira fuori un’arma. Tre, quattro colpi, uno dei quali colpisce mortalmente al petto il giovane portiere, ferendo al braccio un compagno di squadra, Salvatore Spagnoli, che aveva tentato di fermare lo sparatore, un minorenne Portato d’urgenza al pronto soccorso dell’Ospedale del Mare, Santino muore poco dopo l’arrivo, lasciando sotto choc familiari e amici. Per Spagnoli, invece, 30 giorni di prognosi. Ieri sera la svolta investigativa: per il delitto è stato fermato un 17enne.
L’episodio riaccende i riflettori sulla violenza tra minori, spingendo le comunità a riflettere su come arginare la crescente aggressività e l’uso di armi tra le babygang. L’uccisione di Santino sembra essere la fotocopia dell’omicidio, nel marzo 2023, del diciottenne Francesco Pio Maimone, aspirante pizzaiolo, ucciso agli chalet di Mergellina da un ventenne, Francesco Pio Valda. Anche in questo caso la miccia che fece esplodere la furia omicida del giovane killer fu una scarpa sporcata inopinatamente nella ressa degli chalet, un pretesto banale usato per affermare ai giovanissimi sodali (furono arrestati altri cinque della banda) la propria leadership. Storie di ferocia poi continuate con l’assassinio di Giovanbattista ‘Giogiò’ Cutolo, il ventiquattrenne musicista dell’Orchestra Scarlatti di Napoli, freddato il 31 agosto dello scorso anno nella centralissima piazza Municipio. La sua ‘colpa’? Aver difeso un amico che aveva parcheggiato lo scooter intralciando quello di un ‘guaglione’ diciassettenne dei Quartieri Spagnoli, appartenente a una banda specializzata in rapine di Rolex. Una scia di sangue proseguita con la morte, il 24 ottobre, del quindicenne del Rione Sanità, Emanuele Tufano, colpito alla schiena lungo il Rettifilo di Napoli in uno scontro notturno tra bande di giovanissimi.
Ormai Napoli e la sua area metropolitana sembrano un far west, terreno di scorrerie per babygang. "A Napoli – scrive Isaia Sales, docente di Storia delle mafie al Suor Orsola Benincasa – i minori violenti non avvertono un bisogno di integrazione, perché la comunità in cui vivono e operano è abbastanza larga per dare a chi ne fa parte quella legittimazione e quel riconoscimento di cui ha bisogno. La loro è violenza di separazione, di distanza dallo Stato e dal resto della società. L’ambiente delinquenziale sembra essere già una società autosufficiente, fuori dalla quale questi ragazzi non hanno interesse a inoltrarsi. Pur non essendo "integrati" (anzi, rifiutandosi di farlo), pensano di contare, decidere e arricchirsi, senza nessun problema. Arricchirsi senza integrarsi è il loro modo di pensare, vivere e operare. Non gliene frega niente di essere accettati dal resto della società".
"Qualcosa bisogna fare, non possiamo restare fermi davanti a queste tragedie, perché vuol dire che stiamo fallendo", dice padre Alex Zanotelli, il comboniano da anni attivo nel quartiere Sanità di Napoli. "Bisogna rafforzare gli strumenti a disposizione, aprire scuole e aumentare i servizi educativi sul territorio. E partire dai bambini".