Sabato 5 Ottobre 2024
RICCARDO RIMONDI
Cronaca

Quando lo Stato multa chi lo aiuta. "Io, punito per il calcio balilla anti slot"

Il ristoratore di Venezia: "Il mio è un esempio lampante di come il sistema sia fuori controllo"

Stefano Ceolin e l'ex sindaco di Venezia Giorgio Orsoni

Stefano Ceolin e l'ex sindaco di Venezia Giorgio Orsoni

Roma, 2 settembre 2018 - "Il mio è un esempio lampante di come il sistema sia fuori controllo". Stefano Ceolin, titolare del ristorante Il Palco di Mestre, è diventato famoso nel 2013, quando i vigili l’hanno multato per un biliardino non autorizzato. Un calciobalilla a palline libere che aveva installato, preferendolo alle slot machine: «Da sempre lotto contro le ludopatie», ricorda. In segno di solidarietà, con quel biliardino giocarono l’allora sindaco di Venezia Giorgio Orsoni e il prefetto, dopo che Ceolin, già multato, era stato premiato da SlotMob perché promotore di giochi sani e non di slot. Ma le belle parole non hanno impedito che, pochi giorni fa, il Giudice di pace rigettasse il suo ricorso, condannandolo a pagare una multa di oltre 1.400 euro. Ora il biliardino va a Telethon, che lo metterà all’asta. La consegna avverrà nei prossimi giorni al Festival della politica.

IL COMMENTO Un pizzico di buonsenso - di M. BUTICCHI

Si aspettava questo epilogo?

«No, lo credevo impossibile, il ricorso al Giudice di pace l’avevo quasi dimenticato. Ma ho studiato Giurisprudenza, so che al di là del buonsenso ci sono le norme e sinceramente non sono stupito».

Non poteva tenere il biliardino e fare l’autorizzazione?

«La mia è una provocazione. Perché un calciobalilla a palline libere dev’essere autorizzato?».

Adesso c’è un governo molto impegnato sul gioco d’azzardo. Si aspetta sostegno?

«Credo che succederà, già all’epoca ci furono interpellanze parlamentari».

Come si possono ricevere sanzioni così?

«È un esempio lampante di come ormai il sistema, l’apparato burocratico, sia fuori controllo. Non ho avversione verso le persone, tutti si sono detti dispiaciuti e impotenti. Credo che il mostro non sia la persona fisica, ma il sistema. Che forse è peggio».

Che cosa si prova a ricevere una multa per una scelta pubblicamente apprezzata?

«Tendo a sdrammatizzare, mi reputo abbastanza imperturbabile. Cerco di rispondere col sarcasmo, di fare buon viso a cattivo gioco».

Il suo non è l’unico caso. Vale la pena fare del bene in Italia?

«Se parliamo di me, non mi sento un benefattore. Ma per me fare queste cose ha senso».

Non si sente beffato dal fatto che a darle solidarietà siano stati gli stessi che l’hanno multata?

«Per me la pacca sulla spalla, in un mondo molto virtuale, equivale alla solidarietà sui social. Le persone per me sono davvero impotenti di fronte alle norme».

Non è mancato un po’ di buon senso?

«Sicuramente. Ma un vigile può dire che se se non fa la multa rischia di essere a sua volta punibile. Il buon senso è una bilancia interpretata di volta in volta dalle persone, in virtù di valori e principi».

È l’unica sanzione assurda che ha ricevuto in questi anni?

«Una volta vennero i Momix per l’anteprima della loro tournée. Cenarono da me perché il locale è di fronte al teatro Toniolo. Erano ospiti del Comune. Li attendevamo prima di mezzanotte ma lo spettacolo iniziò in ritardo e così la cena. All’una i vigili vennero a multarmi perché ero ancora aperto. Una volta la squadra femminile della Reyer Venezia di basket vinse la Coppa Italia a Schio. Tornarono a Mestre con coppa, squadra e tifosi per festeggiare. Io con il mio stereo all’ingresso misi su We Are The Champions. Mentre gli altri entravano, sull’uscio i vigili mi sanzionarono perchè un regolamento vieta la diffusione all’esterno della musica. Al volume di un telefonino».

Che cosa bisognerebbe cambiare per evitare queste situazioni paradossali?

«Le normative. Anche se è difficile. L’ignoranza della legge, in alcuni casi, dovrebbe essere ammessa. La norma dal Consiglio regionale veneto all’unanimità sull’onda del mio caso sarebbe ottimo: la diffida ad ottemperare entro un certo tempo. Così si evita che il cittadino sia colpevole fino a prova contraria».