Roma, 25 settembre 2023 – Che cosa ha significato l’arresto e che cosa significa oggi la morte di Matteo Messina Denaro? Che cosa è cambiato per la Mafia in questi mesi? Che cosa cambia con la sua scomparsa? A dare il quadro di rifermento per orientarci in questa giornata che segna un nuovo passaggio epocale nella storia di Cosa Nostra è il Generale Pasquale Angelosanto, il Comandante del Ros, il protagonista indiscusso, con tutti i suoi uomini, delle lunghe indagini che hanno portato nel gennaio scorso alla cattura del numero uno dei latitanti.
"L’arresto di Messina Denaro – spiega il generale – ha dato un colpo alla struttura trapanese di Cosa Nostra, perché Messina Denaro, va sottolineato, era il capo della provincia mafiosa trapanese e, dunque, non era il capo di Cosa Nostra. Ma, anche non essendolo, era un simbolo, perché era latitante da trent’anni e questo gli dava un carisma rilevante dentro l’organizzazione mafiosa (come risulta dalle indagini fatte in altre province). Ovunque Messina Denaro era un riferimento ideologico, tanto che era interpellato, attraverso un percorso comunicativo fatto di pizzini o di persone che si spostavano, anche per decisioni prese in altre province, per avere un suo avallo. L’arresto, dunque, è stato importantissimo, perché ha fatto traballare Cosa Nostra, ma soprattutto ha inciso sull’assetto trapanese dell’organizzazione, anche se per le regole di Cosa Nostra i capi conservano formalmente la carica che hanno anche nel periodo di detenzione”.
Dunque, fino alla notte scorsa?
“Sì. Ricordo che Totò Riina è morto nel 2017, ma fino alla morte è stato il capo di Cosa Nostra. Messina Denaro è stato anche lui il capo della provincia mafiosa trapanese fino alla morte. Tant’è che la stessa Cosa nostra prevede che, durante la detenzione, venga nominato un reggente per la gestione operativa dell’organizzazione”.
Ora, con la sua morte, però, lo scenario cambia?
“La morte di Messina Denaro sotto il profilo investigativo non cambia nulla se non quella aspettativa che potevamo avere di una sua collaborazione, ma questa era un’eventualità remota: e del resto lui ha detto che non avrebbe mai collaborato. Le indagini che erano in corso continuano per individuare chi in questi trent’anni lo ha aiutato, quelli che gli sono stati contigui anche nelle istituzioni, i favoreggiatori che lo hanno sostenuto nel portare avanti la latitanza e, soprattutto, gli affari. Tra questi la sorella che portava avanti la cassa e che per questo motivo è finita in carcere e non per favoreggiamento che tra familiari non esiste. Dunque, noi dobbiamo continuare a investigare come stiamo facendo”.
Che cosa cambia, invece, per la Mafia?
“Per l’organizzazione la situazione cambia. C’era, come accennavo, sicuramente un reggente che noi non abbiamo ancora individuato. Ora si innescherà tutta una dialettica interna ai mandamenti per nominare il nuovo capo. Che è elettivo: tant’è che ci sono riunioni segrete della commissione provinciale, ci sono accordi interni. A volte il capo è un mediatore. In questo quadro noi dobbiamo avere la capacità di indagare su questa dialettica. Scoprire quando e come si svolgeranno le riunioni, chi vi parteciperà. Insomma, dobbiamo lavorare di più rispetto a prima”.
E’ possibile tracciare l’identikit dei possibili successori di Messina Denaro? Sono sul suo modello o avranno una differente caratterizzazione antropologica?
“I mafiosi, come tutti gli attori sociali o economici, hanno subito un’evoluzione, hanno cambiato e cambiano veste e modalità operative nel corso del tempo. Oggi il mafioso ha una maggiore inclinazione imprenditoriale, con una minore propensione alla violenza militare che esercita quando c’è bisogno. Noi parliamo di riserva di violenza per indicare che il mafioso oggi considera la violenza un’estrema ratio, perché punta a ottenere i risultati con altri mezzi. A cominciare dalla corruzione. Non dimentichiamo mai che le organizzazioni mafiose cercano il massimo dell’arricchimento e da qui tutta una serie di attività finalizzate principalmente all’investimento dei capitali illecitamente ottenuti”.
Come incide questo sulla figura del capo?
“Va sottolineato che già con Messina Denaro ci troviamo di fronte a una evoluzione del modello di mafioso. Lui nasce come corleonese stragista e diventa uno dei più grandi controllori di attività d’impresa nel Trapanese, fino a controllare i parchi eolici. Tant’è che Totò Riina in un’intercettazione in carcere critica il suo cambiamento: “Ma come? Ti ho cresciuto, poi ti sei messo a mettere i pali della luce”. Questo per dire che già con lui l’organizzazione mafiosa punta soprattutto agli affari”.
Dunque, Messina Denaro è l’ultimo dei vecchi capi e il primo dei nuovi? Ma da oggi in avanti avremo capi ‘invisibili’?
“In questo nuovo modello che punta sull’invisibilità è verosimile che non si farà più riferimento al capo carismatico. Abbiamo colto segnali di conduzione collegiale degli affari, non più affidati a una sola persona che decide, ma a più persone. Ma questi cambiamenti ci confermano che Cosa Nostra non è affatto sconfitta, anche se è depotenziata. E ha scelto una strategia differente: quella che chiamiamo della sommersione. Con una conduzione non militare contro lo Stato, ma attraverso l’infiltrazione dello Stato. Questa è la direzione che sta assumendo”.