Lunedì 25 Novembre 2024
BEPPE BONI
Cronaca

Matteo Messina Denaro, chi sono gli eredi. L’analisi: si profila un cda dei clan

L’anima di Cosa nostra resta la stessa. Ecco i nomi di chi è quotato per gestire gli affari che spaziano dall’Italia al Medio Oriente

Matteo Messina Denaro

Matteo Messina Denaro

Trapani, 25 settembre 2023 – Di generazione in generazione cambiano gli uomini, le dinamiche e le strategie, ma l'anima di Cosa nostra resta la stessa nell'alveo di riti ancestrali e di un codice non scritto che nessuno degli affiliati vorrà mai cambiare. Le regole della famiglia queste sono e queste restano, così era nella notte dei tempi e così sarà nel futuro.

In Cosa nostra un vertice deve esserci affinché essa continui ad esistere, la Cupola come modello organizzativo a piramide non si discute. Altra cosa sono i "barbari" della camorra, dove le bande di quartiere sono più autonome.

Dunque, tramontata l'era di Matteo Messina Denaro, ultimo boss dell'era stragista di Totò Riina abbattuto dalla malattia che non perdona dopo l'arresto dei carabinieri del Ros, il toto nomi nelle segrete stanze della mafia siciliana è già in corso. Con un problema che già scottava nelle mani di Messina Denaro.

Oggi la leadership criminale nel narcotraffico è nelle mani della 'ndrangheta, sodalizio certo più rozzo nel modo di porsi, ma che ha sorpassato l’attività dei mammasantissima siciliani. Con ogni probabilità intanto il pensatoio mafioso tornerà ad essere palermitano, ma non è detto che nell’immediato possa esprimere un capo dei capi secondo la concezione classica.

Secondo una scuola di pensiero diffusa fra gli investigatori, dunque, fatte salve le alleanze e i rapporti fra clan trapanesi e palermitani si potrebbe profilare più una sorta di consiglio di amministrazione che un un uomo solo al comando come ci abituati in passato Cosa nostra. Del resto già dopo l’era di Bernardo Provenzano si era fatta più sfumata l’idea di un unico vertice.

E in fondo Matteo Messina Denaro, boss di Castelvetrano e quindi non palermitano, è stato quasi un papa straniero. Gli investigatori, rispetto alla suggestione dell’opinione pubblica, non lo hanno mai del tutto considerato come un numero uno assoluto, ma un capo che rispetto al passato aveva delegato le grandi manovre a più filtri operativi attraverso solide relazioni di vertice. Le voci del mafia-mercato rimbalzano da mesi sia nei verbali delle forze dell'ordine, sia sulla bocca degli uomini d’onore. Nell'elenco dei bookmakers non ci sono giovani rampanti, ma personaggi con blasonato curriculum criminale.

Nelle quotazioni di coloro che possono coordinare il cda dei clan è presente Giovanni Motisi, U'Pacchiuni, cioè il grassone, 64enne reggente del mandamento di Pagliarelli, latitante dal 1998. Oggi è un fantasma che comanda ancora. Il suo palmares lo indica come killer di fiducia di Totò Riina, uomo già nel mirino del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, poi avvicinatosi all'ala più moderata di Bernardo Provenzano. Il boss grassone è ricercato per svariati delitti e condannato all'ergastolo e il suo nome è nell'elenco dei quattro superlatitanti presenti nel programma speciale di ricerca del gruppo di investigatori interforze.

Segue a ruota Stefano Fidanzati, 70 anni, esponente di rilievo della storica famiglia mafiosa dell'Arenella attiva tra Palermo e Milano. Più indietro nelle quotazioni, ma considerati in carriera, ci sono Giuseppe Auteri, soprannominato Vassoio ,latitante da quasi due anni, cassiere del mandamento di Porta Nuova e Sandro Capizzi, rampollo prediletto del boss Benedetto Capizzi, capo mafia del clan di Santa Maria del Gesù, quello del nemico giurato di Riina, Stefano Bontade, passato a miglior vita nell'ultima guerra di mafia, quando ancora si sparava a ruota libera.

Nomi a parte, cosa cambierà nella strategia mafiosa? Probabilmente per ora non ci saranno scossoni ma di certo Matteo Messina Denaro ha rappresentato l’ultimo dei mohicani dell’epopea corleonese, come lo sono i fratelli Graviano e Giovanni Brusca, tutti in carcere. Ora i clan sono decisi a preservare la rete di appalti e business in Italia e dei grandi investimenti fatti nell’Europa del nord, nei Paesi balcanici, in Albania e Medio Oriente dove sul sistema giudiziario non aleggia l’ombra del 416 bis.

Una ragnatela di affari senza frontiere che muove milioni di euro. Un clic dalla Sicilia e il gioco è fatto. Maurizio De Lucia, procuratore capo di Palermo, in una intervista a Famiglia Cristiana, sostiene che l'intenzione di Cosa nostra è anche di "tornare sul mercato degli stupefacenti cercando di dialogare con gli 'ndranghetisti" mettendo a disposizione una "storia di rapporti con altri poteri che nessun' altra organizzazione possiede". Nella geografia mafiosa le alleanze vanno e vengono, gli antichi nemici possono diventare amici perché in fondo gli affari sono affari. Le armi tornano nella cintola se conviene. Infatti si dice che, tramontata l'era Riina - Messina Denaro, si stiano rinsaldando anche i rapporti con gli "scappati", cioè gli esponenti delle famiglie perdenti sfuggite al fuoco dei corleonesi e riparate negli States ". Uno scenario comunque tutto da decifrare, anche perché nelle cose di mafia nulla è mai come sembra.