di Antonella Coppari
È una telenovela e tale si conferma fino all’ultimo secondo. La pace tra Giorgia Meloni e Emmanuel Macron, i litiganti d’Europa, si fa attendere per tutto il giorno. Alla fine il fatidico incontro c’è nella notte all’hotel Amigo, nel centro storico di Bruxelles. Un incontro durato un’ ora e quaranta minuti. Del resto, prima o poi la tormentata vicenda cominciata lo scorso novembre con l’incidente sui migranti della Ocean Viking doveva trovare un punto di caduta. E questo Consiglio europeo è sembrato il momento propizio. Il presidente francese ha bisogno di tutti gli aiuti possibili per la partita decisiva e certo non facile che lo aspetta oggi. Si tratta di inserire il nucleare nella lista benedetta delle energie pulite.
Gli ambientalisti di tutta Europa schiumano rabbia, ma per la Francia che ricava dalle centrali buona parte del suo approvvigionamento energetico la questione è determinante. Del resto, anche Giorgia Meloni sul tavolo della transizione energetica oggi si gioca molto. Insomma, nel sospirato faccia a faccia si è parlato molto di energia – a Padova si lavora a due macchine fondamentali per il primo reattore sperimentale a fusione in costruzione in Francia, a Cadarache – e un po’ meno del pomo della discordia: l’immigrazione. Per la nostra premier, si sa, il tema fondamentale del vertice dovrebbe essere questo, per gli altri 26 invece no. Lo ammette lei stessa all’arrivo in Belgio: tutto quel che riuscirà a strappare "è l’impegno ad affrontare davvero il problema tra tre mesi", nel Consiglio di giugno.
Ma questo era già previsto. Così come era previsto l’appoggio alla linea italiana della presidente della Commissione Ursula von der Leyen: "Dobbiamo incrementare il numero di ingressi regolari di lavoratori dai Paesi terzi. Tengo a menzionare a questo riguardo l’esperienza estremamente positiva dell’Italia con i corridoi umanitari".Il guaio è che anche sul piano ufficioso e informale il quadro è meno roseo di quanto Giorgia auspicasse e, soprattutto, di quanto non abbia raccontato in Parlamento. I Paesi dell’Europa settentrionale dicono che i primi confini da blindare sono quelli attraverso cui passano i movimenti secondari, insomma i confini italiani a Nord da cui escono i migranti che approdano sulle nostre coste.
La visione italiana è opposta: "L’unico modo per bloccare i movimenti secondari è impedire quelli primari". Insomma, fermare gli sbarchi. Ma nonostante l’aiuto di von der Leyen, da questo punto di vista l’Italia non è avanzata neppure di un centimetro, malgrado Giorgia assicuri di "essere soddisfatta della bozza delle conclusioni". Queste non segnano svolte: si limitano a ribadire la necessità di "rapidi progressi" (nella versione arrivata a Bruxelles c’era scritto "rapida attuazione") del piano d’azione della Commissione. "Rivendica di aver imposto alla Ue la centralità del problema migratorio per poche righe che non dicono nulla", attacca la segretaria del Pd, Elly Schlein.
Anche per Chigi si può fare di più: non è un caso se Giorgia Meloni mette subito sul tavolo il tema quando si parla di Ucraina, alla presenza del segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres. "La guerra – spiega – ha provocato uno choc geopolitico non solo sul fronte Est ma anche su quello Sud". La Tunisia "è una polveriera, se crolla del tutto si rischia una catastrofe umanità, con 900mila rifugiati", ripete. Ragion per cui la presidente italiana torna in pressing su Banca mondiale, Fmi e Ue perché diano fondi a Tunisi: servono almeno 2 miliardi. E non basta, avverte: in Italia gli arrivi rispetto al 2022 si sono triplicati, se il trend continuerà, "in estate la situazione sara’ fuori controllo". Insomma, la strada del vertice odierno, con energia e competitività all’ordine del giorno, è in salita; quella dei prossimi mesi con al centro l’immigrazione lo sarà anche di più.