Torino, 29 ottobre 2024 – Il 15 novembre è la nostra festa, Matilde e io siamo nate lo stesso giorno con uno scarto di due anni. Ho smesso con l’agonistica alla stessa età in cui lei è morta. Non trovo il coraggio di chiamare sua madre. Risentirei nella sua voce la stessa disperazione che aveva la mia quando la chiamavo da un letto del pronto soccorso di Briancon, o di Susa, perché mi ero rotta qualcosa. Bardonecchia, la Via Lattea, Limone, l’Abetone.
Chi più, chi meno, ci siamo presi tutti qualche spavento. Ma non ho lasciato per paura. Sapevo di avere dato tutto, di non potere arrivare più in alto di così. E di non essere brava come lei, o come sua sorella Lucrezia. Matilde era una fuoriclasse. Seria, concentrata, mai imprudente. E sempre illuminata da quel sorriso meraviglioso che si allargava sul faccino con l’abbronzatura sghemba degli occhiali. Perché sulla neve ci stava bene. Anche sulle lingue già esauste degli allenamenti autunnali così simili al cemento. E come me, come tutti quelli che fanno parte di questo circo dove la sicurezza è al primo posto ma il salto nel buio perennemente in agguato, si sentiva fare sempre la stessa domanda: perché hai scelto uno sport così pericoloso? Non posso rispondere per tutti, per me e per lei sì: è stata, per entrambe, pura, sfrenata e sincera passione. In un mondo che tende ad appiattire l’anima, avere un interesse totale per qualcosa, non importa cosa, le dà forma e la riempie di significato.
Alzarsi alle quattro del mattino, lasciarsi mordere dal gelo, infilarsi gli sci quando è ancora buio. Eccoci lì a desiderare un tè caldo sui seggiolini che ci portiamo dietro per non bagnarci il sedere. Eccoci in posa per un selfie con i capelli ghiacciati, a benedire una lama di sole. E poi giù: i pali, le curve giuste e quelle sbagliate, il cronometro, i piedi che fumano sul pulmino quando un’altra giornata è andata e bisogna per forza raccontarla dall’inizio. Sei stata brava. No, brava tu. Quando c’è quella scintilla il rischio lo lasci per dopo. Lo conosci ma non permetti che ti paralizzi. Dicono: ormai andate troppo forte. Siamo qui per questo, no? Per superare ogni volta un limite, perché ogni pulsazione del cuore diventi richiamo all’azione.
Non vorrei fare venire strane idee a qualcuno. Non è come lanciarsi senza paracadute o agganciarsi a un treno in corsa per sfidare la morte. Tutto il contrario. Quelle come Matilde e come me amano pazzamente la vita. E non sono drogate di adrenalina, non confondono gli ormoni del coraggio con la temerarietà. Questi anni di allenamenti massacranti e gare sono stati un lungo brivido che ha reso ruvida la pelle e intenso ogni istante. Non desideriamo il pericolo, lo accettiamo perché fa parte del gioco, lo addomestichiamo con la tecnica. E quando il cuore si impenna, quando si cade e ci si rialza, il significato della vita è spiegato meglio che in un trattato di filosofia. Incertezza: non è forse questa la condizione di tutti gli esseri umani? Lo sci non è solo uno sport, Matilde lo diceva benissimo. È libertà, è bellezza. Se di qualcosa siamo drogate non è la vittoria a tutti i costi ma l’emozione di danzare dentro uno scenario fiabesco sotto il cielo puro. Se non senti quella cosa lì ti fermi alla prima lezione o al primo crampo.
Per continuare occorre innamorarsi perdutamente della montagna, sentirsi un tassello di quella natura maestosa. La mia amica se ne è nutrita da quando era bambina: le piste erano il suo palcoscenico, lei la regista del suo film. Affrontava le gare con una determinazione contagiosa: la sua energia l’ha resa una grande sciatrice, il suo spirito una persona molto amata. È salita allegramente su tutti i gradini dello sci femminile giovanile, si è guadagnata il tesseramento al Centro sportivo Esercito e un posto nella squadra junior. Non ha sfidato il destino, è bastata una frazione di secondo per separarla da ciò che amava. E provo a immaginare che cosa abbia provato in quegli ultimi istanti: una limpida accettazione del viaggio che stava finendo. Chi lo sceglie lo sa, ogni discesa è un’incognita. Se non sei disposto a correre quel rischio ti accontenti della cioccolata calda.
Parlavamo del pericolo come di un compagno di strada e un maestro, di come la vita sia tutto un equilibrio tra sacrificio e conquista. Mati ha fatto la sua scelta e per questo non è davvero scomparsa. La sua luce continuerà a brillare in ogni nevicata, nel nuovo sole, nelle risate condivise. Buon viaggio, amica cara. E buon compleanno.