Firenze, 17 febbraio 2024 – Ancora un ‘Uomo nel lampo’, anzi cinque. Cinque persone che a sera non sono tornate a casa dal lavoro. Lo aveva gridato e cantato appena una settimana fa dal palco dell’Ariston a Sanremo, insieme a Paolo Jannacci, con quella canzone che denunciava la dolorosa litania delle troppe morti bianche.
Oggi le parole di Stefano Massini, drammaturgo, scrittore e regista, sono un monito e un j’accuse ancora più forte.
La strage nella sua città, Firenze, nel cantiere in costruzione del supermercato Esselunga, riapre una ferita che per lui non dovrebbe mai essere percepita come rimarginata. Ed è quasi furioso, nella sua straordinaria lucidità, nel denunciare i diritti negati e le responsabilità sulle tragedie mascherate da fatalità.
Massini, un’altra tragedia annunciata?
"Sento dire che questi poveri operai avevano un contratto da metalmeccanici e non da edili. Allora, non mi stancherò mai di ripeterlo: tutte le volte che uno muore sul lavoro, la prima reazione è sempre quella di un deplorevole incidente. Poi, quando vai a vedere, ti rendi conto immediatamente che c’è sempre, guarda caso, qualcosa che non andava bene. Ci hanno un po’ rotto con questi deplorevoli incidenti, perché spesso si scopre che proprio incidenti non sono. Se guido la macchina con i freni usurati, non è una deplorevole sciagura se vado contro un muro. È una conseguenza di una mancanza, di un disinteresse, di una manutenzione non fatta".
E si ritorna alle tutele, alla fretta, al Dio denaro, al senso del lavoro e della dignità, che denunciavate nella canzone a Sanremo ‘L’uomo nel lampo’.
"Ecco, questa cosa che ha detto mi rammenta un signore di qualche annetto fa che si chiama Abraham Lincoln. E che in un suo celebre discorso parlava del profitto, che non poteva essere il padre del lavoro. Noi oggi abbiamo i microchip sotto pelle, siamo connessi online, scambiamo i messaggi in un attimo di secondo con l’Australia, ma sentiamo che le parole di Lincoln sono ancora di un drammatica attualità".
E quindi, cosa fare?
"E quindi lei capisce che c’è qualcosa in questo cavolo di progresso che evidentemente non funziona, e che è rimasto a metà Ottocento, mentre qualcos’altro andava avanti. Allora, forse dovremmo allineare la sicurezza sul lavoro all’evoluzione del progresso. Il colpo di mannaia l’ha dato anche la pandemia, che ha impattato sull’offerta dei posti di lavoro, creando meccanismi in cui viene ribadito e moltiplicato esponenzialmente quel ‘ pur di lavorare cosa sei costretto a fare’".
Cosa sarebbe doveroso e urgente fare?
"Prima di tutto, semplicemente, rispettare le regole sul lavoro che ci sono. Poi andare avanti sulla proposta di legge che istituisce l’omicidio sul lavoro".
Lei è stato uno dei primi firmatari di quella petizione.
"Sì, insieme alla madre di Luana D’Orazio, la ragazza di 22 anni morta a Montemurlo sotto un telaio tre anni fa. E la petizione nasce dal fatto che che in Italia è stato istituito, giustamente, il reato di omicidio stradale per coloro che guidano sotto effetto di droghe o alcol, per i quali ci sono adesso conseguenze penali adeguate. Non esiste invece un reato analogo per chi muore sui posti di lavoro. Per cui se nella tua azienda fai lavorare un’operaia a un telaio a cui è stata rimossa la protezione di sicurezza per produrre più in fretta, e la ragazza viene risucchiata dalla macchina, non sei accusato di un grave reato penale".
Potrà bastare?
"No, certamente non risolve. Però probabilmente, prima di far lavorare qualcuno con macchinari non in regola o senza la necessaria qualifica, forse ci si pensa un attimo in più".
La vostra canzone a Sanremo è stata accolta con grande emozione e ha fatto molto rumore.
"Sì, per fortuna. Forse perché gli operai che muoiono non sono né di destra né di sinistra, sono di tutti".