Roma, 26 giugno 2024 – Un Cristo bambino, martoriato e senza croce, gettato su un rovo come il cadavere di un animale sul ciglio della strada, rannicchiato su un cespuglio di spine, accoltellato venticinque volte, con una sigaretta spenta sul volto, schernito mentre agonizza. È un corpo ormai senza vita che però ha gli occhi ancora aperti, ci guarda e parla ad ognuno di noi, quello di Thomas Luciani, sedici anni spazzati via da altri due coetanei per una lite legata allo spaccio di hashish a Pescara ed è il manifesto di un pezzo di società che ha il dovere di porsi degli interrogativi e di trovare soluzioni.
È un corpo che ci chiede di non voltarsi. Di non fingere di non aver capito, perché il dramma non riguarda solo lui. È il corpo di un ragazzo solo come un cane, affidato alla nonna, abbandonato dai genitori, uscito da una comunità: un’esistenza così breve eppure segnata dai drammi, culminata sul Golgota con un omicidio che stupisce non solo per la ferocia, ma in particolare per la totale indifferenza degli assassini, due diciassettenni di buona famiglia, per il valore assoluto della vita.
Perché quest’insensibilità, quest’assenza di umanità tra alcuni giovani? Scoprirne le ragioni significa affacciarsi in cima a un precipizio. Pensare che quell’omicidio sia solo una storiaccia di periferia, significherebbe fingere di non vedere che esiste una frattura sempre più grande, uno scollamento cruciale, tra molti adolescenti e l’età della maturità.
Fino a vent’anni fa i ragazzi erano figli di genitori cresciuti in un’Italia ancora influenzata dallo slancio della ricostruzione post-bellica e più tardi attraversata dai fermenti della contestazione, in cui seppur fra deformazioni e amari scontri, determinati valori erano un patrimonio condiviso, che in qualche modo agiva forte sulla coscienza collettiva.
Oggi i genitori dei ragazzi invece si sono formati in un ventennio che, come archetipi, ha avuto arrivismo e individualismo, in cui l’avere ha sempre prevalso sull’essere, in cui il mero benessere materiale è da raggiungere con qualunque mezzo e certo anche questo influisce sulla visione degli adolescenti verso la realtà che li circonda. Se muore l’essere e prevale l’avere, allora il corpo vince sull’anima e diviene solo uno strumento per arricchirsi, annichilendo qualsiasi senso di umanità, avvilito da un mondo social che sembra fornire sempre immediate risposte e proporre soprattutto falsi esempi.
Si tratta di uno slittamento delle basi generali su cui poggiano non solo la conoscenza, ma l’esistenza stessa. Così non è più importante battersi per alleviare il dolore dei deboli del mondo, come un tempo, ma al contrario battersi per dominare l’altro ed apparire più ricco e potente, e può divenire normale per alcuni di loro trucidare a coltellate un ragazzo, poi andare a fare il bagno in mare e autocompiacersi. Perché forse talvolta, involontariamente, nella foga della contemporaneità di non far mancare niente ai figli, si è costruito in loro un approccio materialista ed egoistico verso la vita, in cui l’empatia è sparita e soprattutto è soffocato l’amore.
Occorre invertire la rotta. Mettere anche i social e la tecnologia tutta a servizio dell’essere, non dell’avere. Occorre che i ragazzi non abbiano tutto, ma che tornino a saper ’desiderare’, ovvero, ad ’avvertire la mancanza delle stelle’. Perché si costruiscono meglio sogni pieni di umanità. Perché l’anima è viva, va coltivata, non mortificata. C’è il corpo di un ragazzo di nome Thomas, un Cristo bambino, martoriato e senza croce, laggiù tra i rovi, che ora ci guarda, ci parla e ce lo chiede.