Milano, 19 novembre 2019 - Oggi produce olio, che colleziona premi nel mondo, e gira l’Italia come testimone di quegli anni che ha definito formidabili. Mario Capanna, 74 anni, è stato il leader del Movimento studentesco a fine anni Sessanta, poi parlamentare di Democrazia Proletaria. Col cinquantesimo anniversario della strage di Piazza Fontana che si avvicina, è in tour per la penisola a raccontare l’autunno caldo, gli scontri, le rivendicazioni operaie e la contestazione studentesca di allora. Ha appena scritto la prefazione di un saggio di Cesare Vanzella sul caso Annarumma (editore Castelvecchi) considerato l’inizio della strategia della tensione.
Capanna, dal 1969 sono passati 50 anni. Ricapitoliamo per chi vuole confrontarsi con la storia.
"Il 19 novembre del 1969, a Milano, durante manifestazioni di operai e studenti, ci furono scontri con la polizia. In uno di questi morì il giovane agente Antonio Annarumma".
Il libro sostiene che si trattò di un incidente tra camionette della polizia.
"Sì, ma la questura di Milano diramò una velina dicendo che era stato ucciso negli scontri. E il presidente Saragat, la sera stessa, scrisse un telegramma in cui, senza prove, avallava quella tesi, parlando di barbaro assassinio".
Perché lo considera l’inizio della strategia della tensione?
"A noi fu subito chiaro che era una strumentalizzazione contro le rivendicazioni dei movimenti di sinistra che chiedevano più diritti e salari migliori".
Vi imputarono quella morte.
"La cosa più grave, ben documentata da Vanzella, fu l’ammutinamento nelle caserme. I poliziotti, convinti che il loro collega fosse stato assassinato, volevano irrompere nella Statale (l’università, ndr) e farsi giustizia da soli. Furono bloccati da reparti scelti, e bene armati, dei carabinieri".
Gli scontri continuarono.
"Crearono il clima per dire che le lotte dei sindacati, di studenti e operai, provocavano omicidi. E la manipolazione andò avanti il giorno dei funerali".
Lei fu picchiato.
"Da un gruppo di estremisti di destra. I tempi erano quelli. Quell’informazione drogata si rivelò utilissima, a scopo eversivo, per i fatti che seguirono".
La strage di piazza Fontana.
"Attentato fascista, attribuito vergognosamente agli anarchici. Seguirono le bombe dell’Italicus, di piazza della Loggia a Brescia, della stazione di Bologna. La strategia del terrore andò avanti".
Guardando a quei tempi, oggi cosa vede?
"Una ricostruzione storica onesta non può mettere in dubbio che le cose siano andate così. C’è stato un tentativo eversivo e violento di bloccare le rivendicazioni di quel movimento. Che fallì perché la reazione popolare fu molto forte".
Oggi le voci critiche sul ’68 sono tante.
"Eppure il lascito di quel periodo è che la lotta paga. Molte cose che oggi diamo per scontate vengono da lì. Senza il ’68 non avremmo lo Statuto dei Lavoratori, il diritto familiare, l’aborto, molti diritti civili e sociali".
Rivendicazioni lontane...
"Certo, oggi prevalgono passività e rassegnazione. Ma se non torniamo, in forme nuove, a una democrazia partecipata, è illusorio pensare che i governi di qualsiasi colore sappiano affrontare le diseguaglianze sociali o i cambiamenti climatici. Senza la spinta delle persone la politica non risolve i problemi. Li aggrava".