Prima le urla dentro il pronto soccorso: "Non la devi dimettere". Poi l’esito inimmaginabile: manganellate contro il primario del reparto. Le aggressioni ai sanitari negli ospedali italiani continuano a ritmo sfrenato. L’ultima a Lamezia Terme. Quella di lunedì sera contro Rosarino Procopio, responsabile facente funzioni del reparto tradizionalmente più duro, si distingue non solo per la dinamica particolarmente violenta, ma anche per il rapido arresto, per lesioni personali aggravate e porto di oggetti atti ad offendere, dell’aggressore Luca Sacco: già noto alle forze dell’ordine e contrario, nel caso specifico, alle dimissioni di una familiare dal reparto di Osservazione breve intensiva.
La misura restrittiva applicata è l’effetto del Dl 1 ottobre 2024 n. 137 che – all’articolo 382 bis del codice penale – estende l’opzione dell’arresto in flagranza differita per delitti non colposi commessi nei confronti dei professionisti sanitari, sociosanitari, ausiliari e di assistenza e cura nell’esercizio delle loro funzioni nonché di danneggiamento dei beni destinati all’assistenza sanitaria. Un provvedimento approvato con urgenza, per arginare la crescente spirale di violenza contro il personale sanitario, che però già sembra non bastare più.
Sono le 21 di lunedì. Arrivato all’ospedale assieme a due familiari, il 28enne viene informato della conclusione dell’iter diagnostico e delle conseguenti dimissioni della propria parente (con terapia a domicilio regolarmente prescritta): a quel punto l’uomo comincia a inveire contro il primario e poi lo colpisce alla schiena con un manganello fin lì occultato sotto la giacca. Un grave indizio di premeditazione. Il trambusto richiama gli uomini della sorveglianza aziendale, gli agenti del posto di polizia del Pronto soccorso e gli agenti del commissariato di polizia di scorta a un paziente. Riportata la calma, acquisite testimonianze e prove, scatta l’iter per l’arresto in flagranza differita avvenuto ieri.
"Non abbiamo più la libertà e la tranquillità di fare questo lavoro. Ora sono praticamente i familiari o i pazienti stessi che decidono se fare degli esami e se essere dimessi oppure no", è il commento al Corriere di Calabria del primario pestato alla schiena e al braccio, ma ieri regolarmente al lavoro. Si considera miracolato: "Mi sono accorto di quello che stava accadendo e mi sono piegato...", se "colpito in testa non so come sarebbe andata a finire". Resta una percepibile amarezza.
Secondo Procopio, episodi del genere denotano "una mancanza di rispetto nei confronti di chi cerca, soprattutto in pronto soccorso, di dare assistenza a tutti". "Nelle scorse settimane – aggiunge – sono arrivati, come rinforzo, medici cubani ma hanno bisogno di tempo". Così adesso, al primario calabrese, un "posto fisso di polizia all’ospedale" aperto 24 ore su 24 appare quanto mai necessario, perché "il lavoro delle guardie giurate, per quanto prezioso, non basta più". Ieri a Livorno un altro caso limite: un paziente multato di mille euro per atteggiamenti "aggressivi e fortemente minacciosi" nei confronti di un medico.
La solidarietà al dottor Procopio arriva dai canali istituzionali e da quelli social. "Entrare in ospedale con un manganello: un comportamento davvero pazzesco", stigmatizza il presidente della Regione Calabria, Roberto Occhiuto. "Siamo stanchi della solidarietà, vogliamo invece che si facciano controlli e si impedisca di entrare nelle strutture sanitarie con le armi", è il salto di qualità invocato da Filippo Anelli, presidente della Federazione degli Ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri. "Dopo sputi, calci, pugni, schiaffi, coltelli contro i sanitari, è arrivato il manganello. Ormai la sicurezza per gli operatori sanitari negli ospedali italiani è inferiore a quella delle gradinate degli stadi", scrive su X l’infettivologo Matteo Bassetti, primario al San Martino di Genova. E non sembra una provocazione.