Sabato 27 Luglio 2024
MILLA PRANDELLI
Cronaca

Maltratta la moglie Per il pm va assolto "Viene dal Bangladesh È la sua cultura"

Il caso a Brescia, la richiesta di non condannare un marito violento "Ha agito in base alle sue tradizioni e non per volontà di sottomettere". La donna: "Era un matrimonio combinato, mi trattava da schiava".

Maltratta la moglie  Per il pm va assolto  "Viene dal Bangladesh  È la sua cultura"

Maltratta la moglie Per il pm va assolto "Viene dal Bangladesh È la sua cultura"

di Milla Prandelli

I maltrattamenti in famiglia? "Una questione culturale". E il pubblico ministero di Brescia chiede l’assoluzione per il marito, oggi separato, di una donna di origini bengalesi, ma ora cittadina italiana, che lo aveva denunciato perché stanca di subire angherie in un rapporto nel quale era entrata con una scelta della famiglia.

In attesa dell’udienza che concluderà il processo ad ottobre, la pubblica accusa ha depositato le proprie conclusioni, già consegnate alle parti. Ed è in questo documento in cui si sottolinea la richiesta di non condannare l’imputato perché avrebbe agito "in base alla propria cultura e non per la volontà di sottomettere" la donna, ora ventisettenne, con cui l’uomo ha avuto due figlie, ancora piccole, il cui destino non è stato stabilito. "I contegni di compressione delle libertà morali e materiali della parte offesa da parte dell’odierno imputato – afferma il magistrato – sono frutto dell’impianto culturale e non della sua coscienza e volontà di annichilire e svilire la coniuge per conseguire la supremazia della medesima, atteso che la disparità tra l’uomo e la donna è un portato della sua cultura e che la medesima parte offesa aveva persino accettato in origine".

L’"accettazione" è riferita al matrimonio combinato in patria che la donna avrebbe accolto. La Procura, quando la donna ha fatto denuncia, aveva già chiesto l’archiviazione del caso, ma il gip aveva imposto l’imputazione coatta dell’ex marito. Il pm ha mantenuto il proprio parere anche in aula: "Le condotte dell’uomo sono maturate in un contesto inizialmente accettato dalla parte offesa, che l’ha trovato intollerabile proprio perché cresciuta in Italia e con la consapevolezza dei diritti che le appartengono, interrompendo il matrimonio e rifiutando il modo di vivere delle tradizioni bengalesi delle quali, invece, l’imputato si è fatto fieramente latore".

La donna, assistita dall’avvocato Sara Cadonati di Bergamo, ha parlato con i cronisti chiedendo l’anonimato. "Da quando avevo quattro anni ho vissuto a Brescia e nel 2013, dopo la morte di mio padre, i miei zii mi hanno costretta a sposare un cugino a cui sono stata venduta per 5mila euro. Avevo 17 anni, studiavo alle superiori, oppormi non è servito. Dopo il matrimonio siamo tornati in Italia, in casa di mia mamma fino alla nascita della prima figlia. Poi siamo andati a vivere da soli. Non potevo dire nulla, altrimenti ricevevo urla, insulti e botte. Con la bimba di circa un anno e mezzo mi ha portato in Bangladesh per una vacanza. Lui è tornato in Italia e mi ha costretto a restare là. Nel frattempo ho scoperto di aspettare la seconda figlia. Mi diceva che nessuno mi avrebbe voluta con due figli. Così con le botte, gli insulti. Ero una schiava".

Una volta in Italia, nel 2019 la donna denuncia. Un precedente esiste: nel 2021 un telepredicatore islamico, arrestato nel 2019 per maltrattamenti e lesioni ai danni della moglie di 20 anni più giovane, fu assolto in primo grado a Brescia. In quel caso il pm chiese quattro anni. E fu la Corte a decidere di assolvere l’imputato. Intanto la politica si mobilita. La vicepresidente dell’Europarlamento, la dem Pina Picierno, che considera "assurda" la richiesta di archiviazione perché il magistrato considera la "mentalità abusante e schiavista un retaggio culturale" chiede al ministro della Giustizia Carlo Nordio di mandare gli ispettori in Procura. Mentre il ministro Roberto Calderoli bolla come "pericoloso" il messaggio del pm in un momento in cui "stiamo affrontando una battaglia culturale, oltre che normativa, per arginare questa strage". Per la collega alla Famiglia Eugenia Roccella "l’appartenenza a una cultura non è una condanna".

La vicenda ricorda un precedente del 2007, quando in Germania furono riconosciute le attenuanti in un caso di violenza sessuale: l’imputato ebbe uno sconto di pena perché, dissero i giudici, "si deve tener conto delle sue impronte culturali ed etniche: è un sardo".