Milano, 26 luglio 2023 – “Dobbiamo imparare a progettare le nostre città pensando che le piante non sono una parte marginale, estetica, ma un pezzo fondamentale della nostra e loro vita. Come abbiamo imparato a gestire il rischio sismico, classificando gli edifici in base a come sono fatti e a dove si trovano, occorre monitorare e fare prevenzione anche per i nostri alberi. Proteggendo loro proteggiamo noi stessi e il futuro dei nostri figli". Ha un gusto un po’ amaro per Stefano Boeri la vittoria dell’Sdg Action Award, ‘Oscar’ dell’Onu dedicato ai 17 obiettivi di sviluppo sostenibile, perché, nelle stesse ore, a dar ragione in maniera drammatica alla “Green Obsession” dell’architetto, presidente di Triennale Milano ma anche della Fondazione per il futuro delle città e del comitato scientifico del progetto di riforestazione urbana Forestami, s’è manifestato pure un clima estremo che gli alberi li brucia in Sicilia e a Milano li spezza col vento a oltre cento chilometri all’ora. "Un’immagine tristissima".
Cos’è la “Green Obsession”?
"Le ossessioni, se le sai coltivare, aiutano a essere coerenti. In questo caso a lavorare da vent’anni sulla sostenibilità, per portare la natura nelle città e ridurre gli effetti del cambiamento climatico, progettando edifici che invece di gas serra producano energia pulita".
Col Bosco verticale a Milano ha fatto arrivare il concetto a molte persone.
"È un manifesto; dimostra, con la forza di un’architettura costruita, che è possibile un modo diverso di guardare al futuro delle città. Il prototipo di una serie d’architetture declinate in modo diverso a seconda del contesto; ad Eindhoven ne abbiamo costruito uno in social housing , dimostrando che le tecnologie permettono di realizzare a costi accessibili edifici in cui non solo i ricchi possono godere del verde e della geotermia".
Quanto sta accadendo dimostra che è una strada dalla quale non si può tornare indietro. Ma dobbiamo anche proteggere le nostre città.
"Credo che quanto accaduto negli ultimi mesi, penso anche alle esondazioni in Romagna, sia il frutto di tre fattori: la fragilità del nostro territorio, dal punto di vista sismico, del dissesto idrogeologico, delle frane, dell’erosione delle coste; il fatto che su questo territorio fragile s’è costruito troppo e male, e il cambiamento climatico, che funziona da moltiplicatore. In questa situazione drammatica abbiamo due grandi strategie, che vanno percorse insieme".
Quali?
"La prima è sul lungo periodo: intervenire sulle cause, in primis sui gas serra, la CO2 che al 75-80% viene prodotta nelle città, soprattutto dagli edifici, dai loro processi di costruzione, dal loro riscaldamento e condizionamento. Quindi lavorare perché ogni edificio, quelli nuovi ma anche quelli esistenti, non solo riduca i consumi ma si trasformi in una piccola centrale di produzione di energia pulita, usando il fotovoltaico, accumulando più di quella che usa e rimettendola in rete, creando comunità energetiche. Oggi abbiamo le tecnologie per farlo".
L’altro binario?
"La prevenzione. Non abbiamo alternativa, soprattutto nel nostro territorio, talmente esteso da dover fronteggiare contemporaneamente siccità al Sud e bombe d’acqua al Nord. Si tratta, anche, di recuperare una cultura di costruzione che appartiene alla storia delle città mediterranee. E poi, premesso che quanto accaduto a Milano è veramente estremo perché con raffiche oltre i cento all’ora volano tetti, a volte automobili e anche alberi secolari, per proteggere le nostre piante dobbiamo monitorarle. Conoscere di ciascuna lo stato vegetativo, ma anche valutare le zone a maggior rischio, come i grandi viali in cui il vento s’incanala con un “effetto canyon”, e in base ad esso la resilienza delle diverse essenze. Come facciamo con i boschi. Insomma: considerare la natura come parte integrante della città e prenderci cura di entrambe, proteggendole".