di Leo Turrini
Terrore allo stadio. Sembra il titolo di un film hollywoodiano. E invece è tutto vero: all’improvviso la paura si impossessa degli Europei di calcio, immaginati e vissuti come collettivo momento di rinascita internazional-popolare dopo un anno e passa di pandemia.
Accade a Copenaghen. Accade quando Danimarca e Finlandia si stanno sfidando da quarantadue minuti in quello che è il debutto nel torneo delle due squadre. Christian Eriksen, ventinove anni, centrocampista dell’Inter neo campione d’Italia, chiede palla al compagno che si appresta ad effettuare la rimessa laterale. Ma all’appuntamento con la sfera Eriksen non arriverà mai.
IL DRAMMA
La scena che si materializza sotto gli occhi di chi sta allo stadio è agghiacciante. Il danese non ha avversari nei paraggi, non è marcato stretto come si dice in gergo, non subisce falli. Eppure, come un burattino cui siano stati recisi i fili, il giocatore crolla al suolo. In modo goffo, innaturale. Pare un robot cui sia stata staccata la spina o che abbia esaurito di botto le batterie.
È un film, ma è un brutto film. Già visto in Italia con il perugino Renato Curi nel 1977 e con il livornese Piermario Morosini nel 2012. E l’epilogo fu tragicamente irreparabile.
A Copenaghen, i primi ad accorgersi che qualcosa non funziona sono l’arbitro, i compagni e gli avversari. Viene immediatamente sollecitato l’intervento dei soccorritori.
Ai medici della Nazionale danese la situazione appare subito gravissima. L’interista non si muove. Viene sottoposto ad un prolungato massaggio cardiaco andato avanti per lunghi minuti.
IL GESTO
E in questa fase, così spettacolarmente tragica, che accade qualcosa che tutti, davvero, dovremmo ricordare.
In questa epoca spietata in cui ci è dato vivere, dove ogni spiffero diventa uragano e guardare dal buco della serratura è diventato uno sport universale, ecco, i calciatori della Danimarca si dispongono attorno al corpo sofferente del loro compagno. Non vogliono che il suo dolore, che alcuni temono sia già agonia, si trasformi in uno show. Stanno lì compatti, i danesi. Piangono. Si disperano ma mantengono il loro contegno. E scortano Christian fin quando la barella che lo sorregge lascia il campo.
Meravigliosi.
LA MOGLIE
Nel panico, più tardi mitigato dall’arrivo di notizie incoraggianti sulla salute del campione, è stata inevitabilmente coinvolta Sabrina Kvist, la moglie di Eriksen, sua compagna dal 2012. Era in tribuna, stava tifando per lui, ha capito subito che la paura era entrata in famiglia.
La signora avrebbe voluto avvicinarsi alla barella. Ancora, un paio di colleghi di Christian – tra cui il capitano della nazionale, Simon Kjaer, milanista e avversario di Christian nei derby – si sono incaricati di confortarla, tenendola a distanza fin quando i medici non le hanno accordato il permesso di seguire l’amore di una vita nel reparto di rianimazione dell’ospedale di Copenaghen.
IL PUBBLICO
Esemplare è stato anche il comportamento dei tifosi nordici. I fan danesi e finlandesi sono rimasti sugli spalti del Parken. Hanno combattuto l’angoscia scandendo il nome di Eriksen, applaudendo le due squadre quando è stata annunciata la temporanea sospensione della partita.
IL SOLLIEVO
Circa un’ora dopo il dramma, mentre la notizia faceva il giro del mondo suscitando le prevedibili reazioni di amici e colleghi, dalla clinica hanno preso a filtrare notizie rassicuranti. È spuntata anche una fotografia di Eriksen, in barella con la maschera dell’ossigeno ma con gli occhi aperti, lo sguardo lucido e una mano sulla testa.
"GIOCATE PER ME"
La grande paura si è lentamente dissolta, tanto che gli altri calciatori della Danimarca hanno accettato di tornare in campo, una volta appreso che Christian era fuori pericolo. È stato proprio Eriksen, in viva voce dall’ospedale, ad invitare i compagni a riprendere la partita contro la Finlandia. "Giocate per me", ha detto l’interista.
Era un film orribile, quel ’ terrore allo stadio’, ma il finale non è male.