Ponchia
Ricorderemo il 2023 come l’anno in cui, tutti assieme, ci siamo resi conto che essere donna è infinitamente più pericoloso che salire su un aereo, passare con il rosso, avere il colesterolo alto. L’anno in cui all’improvviso ci siamo risvegliati sotto una secchiata d’acqua e abbiamo detto: non è possibile, adesso basta. Lo hanno detto le donne, lo hanno detto gli uomini. A destra e a sinistra. Sui giornali e nelle processioni. Ma questa volta non è stato il solito scatto di indignazione, quando poi ci si gira e si torna a dormire. Perché il 2023 – storto, sgangherato e fritto a livello planetario – si è preso addosso la responsabilità degli anni che si memorizzano a scuola e non si dimenticano più. Come il 1492, come il 1789. L’anno in cui l’uccisione di una donna in quanto donna ha smesso di essere statistica per diventare uno squarcio all’orizzonte, una rivoluzione del pensiero.
A Giulia Cecchettin è toccata la parte di Cristoforo Colombo e Robespierre, perché gli anni che si ricordano sono sempre attaccati a un nome. È stata la vittima di femminicidio numero 105 da gennaio e la lista non si è chiusa con lei. Ma con i numeri ci fermiamo perché anche di quelli è venuta la nausea. Dopo la sua morte, l’11 novembre, niente è rimasto come prima. Noi non siamo più quelli di prima, quando ancora registravamo l’ennesima tragedia come si fa con gli tsunami dall’altra parte del mondo: qui non può succedere, qui siamo al sicuro. A parte qualche raro caso di ottundimento (c’è sempre qualcuno che continua a dormire mentre il nostromo grida "terra!) tutti abbiamo sentito l’enormità di morire in quanto donna per mano di un uomo. E il bisogno impellente di fare per la prima volta qualcosa, ma sul serio. Anche solo di parlarne, per giorni, come di un lutto privato che il tempo e altri lutti non possono cancellare.
Con l’urgenza di essere una goccia nell’ondata emotiva vigorosa, come non era mai successo. Perché Giulia è stata ammazzata dalle parti del 25 novembre. Perché al cinema era appena uscito il film di Paola Cortellesi. Perché Filippo Turetta non è un maschio alfa ma un ragazzo mite, il figlio perfetto, l’esatto contrario di un assassino. Tutto vero. Ma soprattutto perché una ragazza di 24 anni ha fatto una cosa complicatissima che a lei è venuta facile: ha messo da parte la sua sofferenza e si è caricata sulle spalle la responsabilità del cambiamento mettendoci alle strette.
Stavolta ci hanno raccontato le cose proprio come stanno e non lo ha fatto un politico e nemmeno uno psichiatra. Forse Colombo e Robespierre è stata Elena Cecchettin, la sorella di Giulia, che ha spiegato con le parole giuste a che punto siamo, cambiando la qualità del suo dolore e del nostro sonno. Nessuno era mai stato così lucido, nessuno è riuscito a farla stare zitta: "Non tutti gli uomini sono cattivi, è vero. Ma tutti gli uomini devono essere attenti. Devono richiamare l’amico che fa catcalling ai passanti, devono richiamare il collega che controlla il telefono alla ragazza. Dovete essere ostili a questi comportamenti". Una scintilla. E poi un incendio, alimentato senza fanatismo da Gino Cecchettin, il padre, che sulla bara della figlia ha detto: "Insegniamo ai nostri figli ad accettare le sconfitte". Così i telefoni dei centri antiviolenza hanno cominciato a suonare, uomini e donne sono scesi in piazza con la stessa idea: la violenza omicida non è ineluttabile, dobbiamo smetterla di crederci. Ecco, ciò che fa del nel 2023 un anno speciale è che abbiamo smesso di credere che un mondo nuovo non esista.