Favara (Agrigento), 22 luglio 2024 - Per il padre di Lorena Quaranta “lo stress da Covid non c’entra nulla”. La sentenza della Cassazione che ha annullato l’ergastolo “sembra non tenere conto di tutto quello che è stato detto nei due gradi di giudizio. Lui, infermiere, l’ha ammazzata perché lei era una dottoressa e si sentiva da meno. L’ha ammazzata per un complesso di inferiorità”.
Enzo Quaranta risponde al telefono a Quotidiano.net e prova a tenere a bada il dolore che non lo lascia mai da quel 31 marzo 2020, quando sua figlia – 27 anni, vicina alla laurea in Medicina – è stata uccisa dal fidanzato Antonio De Pace.
I messaggi al fidanzato
"Lorena era una ragazza bella come il sole. Splendida. Piena di progetti. Si stava per laureare in ginecologia, le volevano bene tutti. Lui, infermiere, si è fatto aiutare a entrare in odontoiatria. Ma i messaggi che abbiamo trovato, che lei gli aveva inviato, dimostrano che aveva un complesso di inferiorità”.
“Il Covid non c’entra nulla”
"Sembra che i giudici della Cassazione non abbiano nemmeno letto le carte del processo, dei due gradi di giudizio. Come fanno a parlare di stress da Covid se è stato dimostrato che lui usciva comunque in moto la sera, andava dai pazienti e dagli amici”.
L’ultima telefonata
"Con Lorena ci siamo sentiti al telefono la sera prima che venisse uccisa, erano le 22.30. C’era mia moglie, il piccolo di casa, c’era anche lui, il suo assassino, che rideva e scherzava. Una telefonata normale, Lorena era tranquillissima e tranquillo era lui. Secondo me lui aveva una bella maschera, non era un malato. Non aveva problemi psicologici, faceva sport, faceva nuoto, faceva la qualsiasi”.
Chi era Lorena Quaranta
"Lorena era una persona meravigliosa – si commuove Enzo Quaranta -. Pochi mesi dopo che è stata uccisa l’università di Messina le ha conferito la laurea in medicina, aveva scelto ginecologia. Le intitoleranno un giardino, le volevano bene tutti”.
"Cosa vorrei dire al ministro Nordio"
“Cosa faremo? Lo decideremo con il nostro avvocato, Giuseppe Barba. Non capiamo il perché di questa sentenza. E non comprendiamo perché stiano portando il processo a Reggio Calabria, la città di chi l’ha uccisa. Se avessi modo di parlare al ministro della Giustizia Nordio gli vorrei chiedere di guardare bene le cose, di andare a fondo in questa situazione. E di mettersi nei panni di un genitore”.