Scrutare le vite degli altri è un tema di grande attualità ed è una delle caratteristiche di Carlo Monterossi, il personaggio più celebre uscito dalla penna dello scrittore milanese Alessandro Robecchi. Nella serie noir, Monterossi è autore tv e “partner“ di un’agenzia investigativa (la “Sistemi integrati“, una specie di Equalize) in cui lavora anche un’ex poliziotta della questura (ricorda nulla?).
Robecchi, dove si colloca il confine tra lecito e illecito in queste condotte?
"Monterossi vuole guardare le vite degli altri perché è abituato alla finzione tv, ma non vuole rubare o frugare nei segreti, non lo farebbe mai. Essere curiosi non significa piegarsi a fini poco nobili: è una differenza fondamentale. Dal punto di vista penale il confine è fissato per legge ed è chiaro, più interessante è stabilire ciò che è lecito eticamente, qual è il limite invalicabile. L’attenzione verso gli altri non deve mai avvenire di nascosto, in modo fraudolento o con secondi fini, e per stabilire qual è il confine da non oltrepassare vale sempre la regola di immedesimarsi, immaginare di essere il soggetto che subisce l’intrusione. In letteratura il superamento di questi limiti crea personaggi e storie: nella vita reale i paletti devono essere più rigidi".
Spie e ladri di informazioni compaiono spesso nei suoi libri: come lo racconta e cosa ci trova di interessante?
"È un tema che riguarda la libertà di tutti. In questi giorni sento parlare di 800mila spiati: una cifra spaventosa. Inoltre è uno spionaggio che si muove su diversi livelli: da un lato quello verso i politici o gli industriali per il ricatto, dall’altro quello infimo verso fidanzate, parenti o soci in affari, che ha sempre motivi biechi. Custodire informazioni, si sa, equivale a gestire un potere. È come avere un assegno. Diventa una monetizzazione delle nostre vite, dove tutto viene tradotto in un valore. Con una differenza importante: quando queste condotte riguardano politici o personaggi di rilievo, diventa uno scandalo. Ma quando spiare le abitudini della gente è dettato da fini commerciali, nessuno ci fa caso: basta fare una ricerca online, per trovarsi inondati di proposte di ogni genere che ruotano attorno allo stesso tema, e lo subiamo con un atteggiamento di rassegnazione. Questo ci dice che ormai accettiamo le intrusioni nelle nostre vite come un dato di fatto".
Nel commettere illeciti, vale di più la rincorsa del potere o dei soldi?
"Vanno insieme. Non si è mai visto qualcuno con smanie di potere essere disinteressato ai soldi, ma l’aspetto che disturba di più è forse la gestione del potere che passa attraverso la possibilità di acquisire informazioni. Nelle dimensioni del fenomeno emerso in questi giorni, c’è una sorta di bulimia di potere: più so cose che riguardano gli altri, e più mi sento onnipotente".
Nell’ultimo romanzo, Le verità spezzate, si parla di limitazione della libertà: quali sono oggi i metodi più pericolosi?
"Spingere le persone all’autocensura, che si trasforma in dittatura del consenso. La pressione verso il convincimento genera condizioni di sudditanza, attraverso piccoli cedimenti quotidiani che appaiono di poca importanza, ma che poi diventano sempre più consistenti. Ci sono cose vietate solo per creare nelle persone un senso di soggezione, e il timore di dissentire: questa è una limitazione della libertà costruita sullo spirito dei nostri tempi".