Roma, 9 novembre 2023 – Siamo un Paese idrogeologicamente fragile. E si vede. Negli ultimi 50 anni (1971-2020) le frane e le inondazioni hanno causato 1.630 morti, 48 dispersi, 1.871 feriti e 320.304 evacuati e senzatetto. E sono costati tra i 50 e i 60 miliardi di euro.
I dati Ispra sono lucidamente agghiaccianti. I Comuni interessati da aree a pericolosità da frana elevata e molto elevata, da aree a pericolosità idraulica media e/o da erosione costiera sono 7.423 pari al 93,9% del numero dei Comuni italiani, con 1,3 milioni di abitanti a rischio frane e 6,8 a rischio alluvioni. Se consideriamo le aree a maggiore criticità del territorio italiano, la superficie delle aree classificate a pericolosità da frana elevata e molto elevata o a pericolosità idraulica media in Italia ammonta a 55.609 chilometri quadrati pari al 18,4% del territorio nazionale.
La superficie complessiva classificata a pericolosità da frana alta o molto alta e idraulica media, espressa in percentuale rispetto al territorio regionale, è per la Val d’Aosta e l’Emilia Romagna oltre il 60%, mentre la Toscana, la Campania, la Provincia di Trento e il Molise valori compresi tra il 20 e il 30% e undici regioni tra il 10 e il 20%.
“Le frane da noi censite – osserva Saverio Romeo del Servizio Geologico di Ispra – sono oltre 620mila che, per capirsi, sono i due terzi delle frane in Europa. E dobbiamo conviverci. Il nostro Paese è geologicamente fragile e purtroppo specialmente a partire dal secondo dopoguerra si è costruito molto e spesso ìn maniera non pianificata andando a occupare territori che erano soggetti a rischio frana o alluvione. E così i livelli di rischio sono aumentati. E a questo si sono aggiunti i cambiamenti climatici".
Già. Perché urbanizzazione e cambiamenti climatici sono un mix che moltiplica il rischio. "I cambiamenti climatici – spiega Barbara Lastoria, ingegnere idraulico dell’Ispra – sono un ulteriore aggravio. Cambiano il modo nel quale si generano gli eventi e questo incide tantissimo anche sulla progettazione. Se questi eventi sono mutati in termini di occorrenza spaziale e temporale, cioè quanto sono estesi e ogni quanto si ripresentano, se è cambiata la quantità di acqua in gioco, la progettazione rischia di essere ’vecchia’. E quindi inadeguata".
“Le precipitazioni medie annuali – sottolinea Saverio Romeo – sono rimaste grossomodo invariate, il problema è negli ultimi anni si concentrano in poche giornate di eventi molto intensi e rapidissimi, basti pensare a quanto visto a Ischia. O che, come è accaduto in Emilia Romagna o in Toscana, coinvolgono un territorio molto più vasto che in passato. E così si creano le condizioni per danni estesi e perdita di vite umane".
“Le serie storiche di precipitazioni e di portate – dice Barbara Lastoria – sono frutto di un clima diverso dall’attuale, come è diverso l’uso del suolo nel corso degli ultimi decenni, con il risultato che una volta tre quarti dell’acqua si infiltrava e uno defluiva, mentre ora avendo ridotto le aeree esondabili e aumentato la cementificazione del suolo, si infiltra di meno e scorre molto di più, aumentando la portata dei fiumi, io cui alveo è spesso inadeguato".
“Servono – prosegue l’ingegner Lastoria – interventi inseriti in una pianificazione di bacino, con un ente coordinatore a cui devono fare riferimento tutte le azioni. Le autorità di bacino stanno cercando oggi di fare questo lavoro, ma bisognerebbe che gli venissero date le risorse che servono, ma anche e forse soprattutto che avessero delle linee guida strategiche nazionali, che venisse detto loro cosa è prioritario e cosa no. E poi bisognerebbe porsi anche, assieme alle popolazioni, la questione di eventuali delocalizzazioni. Servono interventi integrati e meditati. Altrimenti si fanno alcune opere di regimazione idraulica che sono come le toppe messe sull’asfalto: quando piove troppo, saltano via".
“Il quadro del fenomeno del dissesto idrogeologico – chiosa Saverio Romeo del Servizio Geologico di Ispra – è abbastanza chiaro. I piani di assetto idrogeologico redatti dalle autorità di bacino ci sono e sono continuamente aggiornati. Quello che manca non è tanto la conoscenza di questi fenomeni né di quel che servirebbe fare. Quello che manca è capire che priorità dare a questo problema. Molti interventi sono stati decisi. Il problema è che tantissimi di questi devono ancora essere ultimati. Quindi il problema non è solo quanto investiamo, oggi circa 350 milioni di euro all’anno, ma anche quanto riusciamo a fare. Una cosa è certa: ogni euro investito in prevenzione vale 3/4 euro risparmiati in danni". Eppure non si fa e si continua a pagare ex post. Contando i morti.