Bonanni
La fuga di cervelli è una delle sfide più urgenti per l’Italia. La combinazione di scarsa valorizzazione del merito, retribuzioni non competitive e un contesto economico stagnante spingono ogni anno migliaia di giovani laureati e professionisti qualificati a cercare opportunità all’estero. Secondo i dati Istat, negli ultimi 5 anni oltre 300mila italiani, prevalentemente under 40 e con un alto livello di istruzione, hanno lasciato il Paese, causando un costo stimato in più di 14 miliardi in formazione persa. Il fenomeno, dapprima concentrato nel Sud, coinvolge oggi sempre più giovani anche dal Nord-Ovest e dal Nord-Est.
Un paradosso emerge con forza: mentre l’Italia forma eccellenze accademiche, il mercato del lavoro fatica a offrire ruoli adeguati, privando il Paese di risorse strategiche. Questo scenario compromette la capacità di affrontare le sfide della rivoluzione digitale e ne indebolisce ulteriormente la competitività globale. Secondo l’Ocse, il 28% delle aziende italiane segnala difficoltà nel reperire competenze tecnologiche medio-alte. Tuttavia, la mancanza di una visione lungimirante, unita a una gestione inefficace delle risorse umane, e i ritardi della formazione universitaria, non consentono al mercato di assorbire e valorizzare i giovani talenti. A questa dinamica si somma l’inverno demografico: l’Italia registra uno dei tassi di natalità più bassi in Europa, mentre la popolazione invecchia progressivamente. Il rischio è che le generazioni future siano troppo esigue per sostenere il sistema economico e previdenziale.
Per invertire la tendenza, è necessario un cambio di paradigma. Governo e parti sociali devono mettere al centro dell’agenda politiche che incentivino il merito, investano nella formazione tecnologica e rendano il mercato del lavoro competitivo con retribuzioni adeguate. Solo un’azione coordinata e incisiva potrà spezzare il “triangolo nefasto” della perdita di capitale umano, della carenza di alte specializzazioni e del declino demografico.