Lunedì 24 Febbraio 2025
REDAZIONE CRONACA

L’Italia e la vocazione occidentale. Il sostegno a Kiev ha radici profonde

Il posizionamento storico del nostro Paese e le tentazioni anti-liberali, dal fascismo al partito comunista . Le tensioni politiche interne generate dall’invasione russa mettono in discussione identità e valori.

La comunità ucraina di Lisbona manifesta a tre anni dall’invasione russa

La comunità ucraina di Lisbona manifesta a tre anni dall’invasione russa

di Carmine PintoNel febbraio del 2022 la guerra è tornata in Europa. L’Italia scelse subito il suo campo: a fianco dell’Ucraina, all’interno della coalizione costruita dal presidente americano Biden e dalle grandi nazioni europee. Questa linea, decisa dal governo Draghi dopo la brutale aggressione russa, fu adottata dal nuovo esecutivo Meloni nell’autunno successivo. L’Italia conservò così la collocazione storica nel sistema occidentale e nei principi della democrazia liberale. Un processo iniziato nel XIX secolo, quando il maggiore statista italiano dell’epoca, il conte di Cavour, guidò la formazione dello Stato nazionale risorgimentale, saldamente ancorato al liberalismo occidentale e alle potenze che lo rappresentavano (Impero britannico e Repubblica francese).

Questa linea strategica sopravvisse alla Triplice Alleanza e vinse la Grande guerra. Invece il fascismo, distruggendo lo Stato liberale, trascinò il Paese in un terribile disastro a fianco di Hitler. Nell’Italia repubblicana il grande statista novecentesco Alcide De Gasperi confermò la scelta occidentale, nelle istituzioni atlantiche ed europeiste. Una posizione mai messa in discussione durante la lunga Guerra fredda e continuata dopo il 1989; l’Italia condivise la gestione dei Balcani, la lotta al terrorismo islamico, lo sviluppo dell’Unione Europea, l’allargamento della Nato, la gestione della pandemia. Il viaggio a Kiev dei leader europei, guidato da Draghi nel 2022; la gestione filo-ucraina della presidenza Meloni del G7, nel 2024, sono stati passaggi politicamente e simbolicamente efficaci nella continuità liberal-occidentale.

Anche per questo, è importante verificare quanto sia stata sempre contrastata. Il Risorgimento costituzionale e nazionale vinse contro una Italia assolutista; successivamente l’antiparlamentarismo e l’estremismo aprirono le porte al fascismo. Durante l’età repubblicana, una forte minoranza filosovietica si collocò sempre su posizioni antiliberali e antioccidentali, prima contestando il protagonismo atlantico e quello europeista dell’Italia, poi accettando la Nato ma opponendosi ad azioni, come lo stanziamento degli euromissili, che contribuirono alla fine della Guerra fredda, alla liberazione dell’Europa orientale, al crollo dell’Unione Sovietica. L’antioccidentalismo si trasformò a sinistra e a destra, come entusiasmo per i regimi post-comunisti cubano-venezuelano; amicizia verso l’autocrazia violenta putiniana; investimento nel regime monopartitico cinese; giustificazione per terrorismi violenti di matrice islamica.

Si trattava di attrazioni molto diverse, ma con premesse comuni. Con la guerra in Ucraina c’è stata una sorprendente convergenza di queste forze, pronte a denunciare responsabilità occidentali di ogni tipo, inventando cupe narrazioni della democrazia ucraina, esaltando un pacifismo ideologico, strumentale alla resa dell’Ucraina e alla sconfitta del discorso liberal-democratico. La brutale valanga scatenata da Trump ha spezzato questo equilibrio/contrapposizione tra continuità occidentale e populismo antiliberale. Il governo e l’opposizione si trovano tra due poli: una presidenza americana sprezzante verso la Nato e i valori democratici; la necessità di difendere l’Ucraina e l’Europa come realtà politica e come valore morale. Il sistema politico, conservatore, popolare o socialista, deve decidere se fare i conti con l’acquiescenza verso le narrazioni antiliberali e la distruzione della storia europea, affrontando le retoriche fallaci che ne hanno indebolito l’unione politica, il discorso ideologico, l’integrazione economica, la forza militare e nucleare. Si tratta di uno spartiacque, forse inimmaginabile, che mette alla prova la cultura liberale dei partiti e delle istituzioni così come la qualità e la profondità delle classi dirigenti.