Roma, 6 giugno 2023 – Gli enormi sforzi fatti durante la pandemia pesano ancora sul Servizio sanitario nazionale aggravando spesso disfunzioni preesistenti. Se già prima del 2020 la questione liste d’attesa rappresentava una nota dolente dell’assistenza ospedaliera, la forte contrazione delle visite specialistiche durante il Covid non ha fatto che peggiorare il quadro: accedere gratuitamente e nei tempi giusti alle prestazioni sanitarie del Ssn risulta sempre più difficile. Due anni per una mammografia di screening; tre mesi per un intervento per tumore all’utero che andava effettuato entro un mese; due mesi per una visita specialistica ginecologica urgente da fissare entro 72 ore; due mesi per una visita di controllo cardiologica da effettuare entro 10 giorni.
Per le prime visite specialistiche – stando al ‘Rapporto civico sulla salute 2023’ di Cittadinanzattiva – risulta che nessuna visita con classe U (da svolgersi entro 72 ore) sia stata fissata rispettando i tempi previsti. I cittadini hanno atteso anche 60 giorni per la prima visita cardiologica, endocrinologica, oncologica e pneumologica con priorità classe B (entro 10 giorni). Senza codice di priorità, ci vogliono anche 360 giorni per una visita endocrinologica e 300 per una cardiologica. Sessanta giorni per visite specialistiche di controllo urgenti o categoria B, mentre per la classe D (differibile da fissare entro 30 giorni) si possono attendere 181 giorni per una prima visita neurologica, 159 endocrinologica, 90 oculistica e ginecologica. Senza priorità si può arrivare fino a 455 giorni. Ritardi sul fronte delle prestazioni diagnostiche dove spiccano i 150 giorni per una mammografia con classe B. Segnalati mesi di attesa anche per interventi chirurgici, con pazienti operati da 60 a 90 giorni oltre il tempo previsto.
Ogni numero su quelle liste ha la sua, drammatica, storia. C’è il padre di un bimbo di 4 anni affetto da patologia cardiaca congenita che non riesce a prenotare le visite di controllo semestrali per il figlio, tramite il servizio pubblico: le liste d’attesa sistematicamente vanno oltre l’anno. E così è costretto a rivolgersi all’intramoenia . “Ho contattato il Cup della mia Regione perché dovevo fissare una prima visita cardiologica urgente – segnala un cittadino –. Non hanno trovato strutture presso cui potessi effettuare la visita entro 72 ore, mi hanno consigliato di rivolgermi a una struttura privata”. Per molti l’unica alternativa è appunto il privato e chi non può permetterselo rinuncia alle cure. Una tendenza confermata dall’Istat: nel 2022 si è ridotta la quota di persone che ha effettuato visite specialistiche (dal 42,3% nel 2019 al 38,8% nel 2022) o accertamenti diagnostici (dal 35,7% al 32%) e, parallelamente, un aumento di chi dichiara di aver pagato interamente a sue spese visite (dal 37% al 41,8% nel 2022) e accertamenti (dal 23% al 27,6% nel 2022).
La situazione in Lombardia – Toscana – Emilia Romagna
“Le liste di attesa non sono un problema nuovo, ma con la pandemia i tempi si sono allungati – spiega Anna Lisa Mandorino, segretaria generale di Cittadinanzattiva –. È stato speso dalle Regioni solo il 69% dei fondi, 500 milioni totali, messi a disposizione per recuperare le prestazioni perse. Occorre superarle in maniera definitiva: se c’è un’oggettiva carenza di risorse umane e tecniche, c’è anche un sistema confuso e oscuro, nel quale si mescolano le prime visite con i controlli, si chiudono le agende di prenotazione senza darne motivazione, si creano rapporti poco chiari con i privati, i sistemi informatici non comunicano, i centralini non rispondono. Stando al Piano nazionale per il governo delle liste d’attesa le Regioni e i Comuni avrebbero dovuto definire i Piani locali con la partecipazione dei cittadini, ma la previsione è rimasta lettera morta. È urgente che la norma sia rapidamente attuata".
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