Lunedì 25 Novembre 2024
CLAUDIA MARIN
Cronaca

L’inverno demografico italiano Perso un milione di abitanti in 3 anni

L’Istat: nel 2022 record negativo di nascite e boom di decessi. Adesso siamo meno di 58 milioni "Così nel 2040 andremo in pensione non prima dei 70 anni. Gli immigrati? Non bastano"

Migration

di Claudia Marin

In tre anni, gli ultimi tre, è come se l’Italia avesse perso una città come Napoli, da quasi un milione di abitanti. E il tracollo demografico non accenna a fermarsi. Anzi. L’ultimo verdetto degli analisti dell’Istat è senz’appello: "Il nuovo record minimo di nascite, 393mila, e l’elevato numero di decessi, 713mila, continuano a produrre un forte impatto sulla dinamica naturale". Né basta a invertire la tendenza un timido risveglio della natalità al Sud. Mentre solo la ripresa dei flussi migratori ha fatto sì che la riduzione della popolazione residente fosse "solo" di 179 mila unità, con l’Italia che comunque scende sotto i 59 milioni di abitanti. Uno scenario da inverno demografico, come lo ha ribattezzato la ministra Eugenia Roccella, che porta i demografi a ipotizzare nel medio periodo, senza correzioni di rotta, prospettive inquietanti.

"Il nostro sarà un Paese investito da profondi mutamenti sociali ed economici", ha più volte spiegato Gianpiero Dalla Zuanna, docente di demografia. Tra meno di venti anni, nel 2040, si dovrà andare in pensione a non meno di 70 anni. E appena un decennio dopo si lavorerà anche fino a 75 anni. I giovani in attività saranno ridotti al lumicino, non perché mancherà il lavoro ma perché non ci saranno in giro più tanti giovani. Le scuole saranno sempre più vuote e con sempre meno bisogno di insegnanti. Le famiglie saranno sempre più di tipo verticale (nonni, genitori, figli), con pochi legami orizzontali (fratelli e sorelle, cugini) e diagonali (zii, nipoti).

Nel frattempo, però, saranno diventate italiane le seconde generazioni di immigrati, ma non sappiamo a oggi se i nuovi saldi migratori potranno compensare, almeno in parte, il drastico calo della natalità dei connazionali, con meno di 400mila nuovi nati l’anno. In compenso la durata della vita media sarà sempre più lunga. Un esercito di ultraottantenni abiterà il Belpaese: i grandi vecchi con più di 95 anni supereranno i 600 mila in 20-25 anni e al 2055 saranno più di un milione mezzo.

Insomma, "l’Italia – osserva Alessandro Rosina, professore di demografia e statistica sociale della Cattolica di Milano – si consolida, quindi, come uno dei paesi in Europa con più persistente bassa fecondità e di conseguenza con rapporto che diventa sempre più squilibrato tra crescente popolazione in età anziana e nuove generazioni in continua diminuzione". Il che comporta – spiega Rosina – che "in combinazione con l’elevato debito pubblico, il continuo allargamento di questi squilibri rischia di compromettere la capacità del Paese di generare ricchezza e benessere". Determinando uno svantaggio competitivo rispetto all’esterno. E compromettendo, verso l’interno, la sostenibilità del welfare.

Sui rischi elevati di tenuta del welfare insiste Luca Cifoni, giornalista, autore con Diodato Pirone del recente La trappola delle culle: "In prospettiva, data la nostra struttura sbilanciata sulla componente anziana, preoccupa oltre alla contrazione assoluta soprattutto quella della popolazione in età attiva: cioè dei potenziali lavoratori che con tasse e contributi devono garantire la sostenibilità dello Stato sociale. L’Istat prevede che nel 2050 il numero complessivo dei residenti si ridurrà a 54 milioni, ma più brusca sarà la diminuzione della fascia 15-64 anni: dagli attuali 37 milioni a meno di 29". Per concludere che "quella demografica è un’emergenza di cui ora la politica sembra più consapevole. La strada intrapresa con l’istituzione dell’assegno unico e universale e poi con il suo potenziamento è quella giusta, ma gli interventi necessari sono molti e abbracciano vari aspetti, dalla precarietà del lavoro all’occupazione femminile fino a una corretta programmazione dei flussi migratori. E soprattutto per vedere gli effetti positivi servirà tempo, un tempo che potremmo anche non avere".