Milano – Ci sono le parole, la superficie visibile, e poi "la realtà sul campo", dove "nascono questi rapporti diciamo malsani perché non sono alla luce del sole, sono sempre sotterfugi". I contatti con lo “Slo” dell’Inter, la figura che fa da collante tra tifosi e club, i legami "col beniamino della squadra", cioè i calciatori. Uno spaccato che emerge dai verbali dell’interrogatorio di Andrea “Berro“ Beretta, ex capo ultrà dell’Inter oggi collaboratore di giustizia, in carcere per aver ucciso lo scorso 4 settembre a Cernusco sul Naviglio Antonio Bellocco, erede dell’omonimo clan ’ndranghetista, e nell’ambito dell’inchiesta “Doppia curva“ che ha decapitato i vertici delle tifoserie organizzate nerazzurre e rossonere. "Intendo collaborare e raccontare tutti i fatti che mi riguardano, da quando ho preso in mano il comando di Curva Nord, tutto il discorso del merchandising (...) è da quando ho 17 anni che frequento Curva Nord, ho sempre fatto tutta la trafila fino a diventare il capo", ha esordito Beretta, con accanto l’avvocato Adriana Fiormonti, prima di rispondere alle domande del capo della Dda Alessandra Dolci e dei pm Paolo Storari e Sara Ombra.
LO SLO E I CALCIATORI
Beretta racconta di aver avuto "rapporti diretti" con lo Slo dell’Inter, "la figura che fa da collante tra la tifoseria, la società e le forze dell’ordine", rapporti "dovuti a spostamenti per le varie trasferte, dove magari ti trovano i pullman, vengono dati un tot di biglietti per i ragazzi del gruppo". Poi parla dei contatti con i calciatori: "Con Nainggolan, con Zanetti avevo buoni rapporti, era un uomo di altri tempi. Con Ciccio Sneijder, con Toldo il portiere". Poi il portiere Handanovic, con Vieri, "anche quando ho avuto il Daspo l’amicizia è rimasta". Racconta di aver chiamato l’ex capitano dell’Inter Javier Zanetti per invitarlo a Pioltello quando è stato realizzato un murales dedicato a lui. "Ci ha firmato il murales – racconta Beretta – quando è venuto la gente si buttava giù dai balconi, ha firmato autografi a tutti, un manicomio". Poi cita Calhanoglu, Barella, Di Marco, riferendosi ai contatti dell’altro capo ultrà Marco Ferdico, anche lui in carcere, e dell’attuale direttivo: "Lautaro e Thuram poco, Bastoni un po’ sulle sue". E spunta anche un presunto business legato alla rivendita di magliette firmate da calciatori per iniziative benefiche. "Le maglie venivano magari date per quando facevi le lotterie – racconta – chi vinceva la lotteria vinceva la maglia. Però le maglie hanno un valore, 2-300 euro". Ammette, quindi, che "c’è un commercio su internet anche".
"SALVATO DA MAROTTA"
In questo contesto si inserisce una frase - "Marotta mi ha anche salvato una volta" - in riferimento a un episodio che il presidente dell’Inter ha poi smentito. Episodio che riguarda l’organizzazione di una trasferta a Torino per un Juve-Inter. Secondo gli ultrà nerazzurri la società aveva messo a disposizione pochi biglietti, scatenando quindi una protesta. Beretta avrebbe quindi minacciato, al telefono, lo Slo dell’Inter ("Vieni qua che ti ammazzo di botte"), che aveva deciso quindi di sporgere denuncia alla Digos. E Giuseppe Marotta, sempre secondo la ricostruzione del pentito sulla base di frasi riferite da un altro manager responsabile della sicurezza, lo avrebbe in qualche modo frenato: "Guardi, se lei vuole fare denuncia la fa a nome suo, non della società". E, infine, la denuncia non c’è stata.
IL BUSINESS
Un’ampia parte dell’interrogatorio si concentra sul business delle Curve. "Tutto dipende dall’andamento della squadra. In quel periodo andava bene, di solito portavamo a casa 5-6 mila euro al mese a testa", spiega Beretta rispondendo a una domanda sulla somme spartite tra lui, Ferdico e Bellocco. Soldi derivanti da fanzine, biglietti a prezzi raddoppiati, il racket degli ingressi abusivi allo stadio. Ma i guadagni sono molto più ingenti, tra cui il merchandising che fruttava "25/30mila euro due volte l’anno", 30mila euro in contanti per tenere alla larga i “magliettari“ abusivi provenienti da Napoli. Un fiume di soldi, direttamente proporzionale all’andamento della squadra. E con la cavalcata dell’Inter in Champions, nel 2023, ai capi ultrà sono entrati "90mila euro a testa (…) ma ne beneficiava tutto il direttivo". Il biglietto della finalissima di Istanbul contro il City "veniva rivenduto a 800, 900 euro". Un ricarico, quindi, "del 300%".
L’AMICO DIABOLIK
Beretta parla anche del gemellaggio con la Lazio e dei rapporti con il capo ultrà Fabrizio Piscitelli, detto Diabolik, assassinato il 7 agosto 2019 a Roma. "Il gemellaggio con la Lazio è trentennale, è stato fatto da Fabrizio Diabolik e Franco Caravita (ex capo ultrà dell’Inter, ndr). È partita come una roba di ideologia politica, perché sono tutte tifoserie di destra. Quando io ho preso in mano la Curva Nord da Roma sono venuti su a conoscermi...c’era Fabrizio Diabolik". C’è stato quindi un incontro, una cena in corso Como, "ed è nata subito un’amicizia con Fabrizio, che mi ha invitato anche al matrimonio. Abbiamo fatto uno scontro anche insieme" in occasione di una partita Lazio-Atalanta di Coppa Italia. Poi i rapporti si sono "un po’ raffreddati".
LA POLITICA E LE CURVE
Beretta parla anche di "un meccanismo politico", perché la Curva "è un bacino di utenza enorme, con 7.000 persone (...) e tutti lo sanno che la Curva Nord è politicamente di destra e a loro interessava proprio questa roba qua, accaparrarsi gente" e "fare proselitismo". Estremisti di destra che "prendevano i ragazzi, li portavano via, gli facevano il lavaggio del cervello". Parla anche di agganci, da parte di una fazione rivale della tifoseria organizzata, "con gruppi neonazisti dell’Ucraina, in Germania" e perfino con il Ku Klux Klan. "Quando io mi sono scontrato non sono mai venuti – racconta – anche perché dicevano: “Lì cazzo andiamo a scontrarci, a noi ci interessa la politica“.