Il braccio di ferro del ministro Piantedosi con le ong è peggio di un atto contro la misericordia, è un errore. Forse più di uno insieme. Scatenato per il comprensibile desiderio di discontinuità con la laconica gestione del ministro Lamorgese che aveva risolto il problema facendo finta che non esistesse, pecca di tempismo e realismo che al contrario della paura o della pietà, le categorie con la quali la destra o la sinistra affrontano il tema, sono categorie della politica. E che come tali presentano presto il conto.
Per prima cosa mostra che ancora non è risolta la contraddizione alla base del rapporto tra centrodestra e Ue. "L’Italia farà valere i suoi interessi" in Europa, dice il premier. Germania, Malta e Olanda che non accolgono i migranti fanno appunto "i loro interessi". A sovranista, sovranista e mezzo. Per noi che stiamo in mezzo al Mediterraneo e quindi più esposti alle migrazioni, con i conti che abbiamo, "il nostro interesse" è a Bruxelles almeno quanto a Roma.
Evidenzia una scarsità di visione in politica estera: l’immigrazione non si controlla (solo) chiudendo i porti. Certo, mostrarsi decisi a far rispettare il sacrosanto diritto (e dovere) di decidere chi entra in Italia serve, ma non è tutto. Il problema si risolve in Libia. E lì conta la capacità di negoziare. Con la Turchia, con noi nella coalizione anti-Putin, e quindi di riflesso con la Nato.
Altra lacuna è nell’approccio con le ong. Che sono un mondo in cui pietà e affari spesso si confondono, ma che se affrontate con la tattica tanto grossier quanto inane dello "sbarco selettivo" hanno gioco troppo facile. Loro puntano in maniera spregiudicata sul diritto del mare, ma Minniti, il miglior ministro dell’Interno degli ultimi anni, ci riuscì. Basta andare a lezione da lui.
Ultimo aspetto, il tempismo: gli italiani, afflitti da bollette e guerra, all’immigrazione non sono disposti a prestare troppa attenzione. Una paura per volta.