di Valerio Baroncini
Completo blu e mascherina rosa, due passi sulla meridiana più lunga del mondo. La prima uscita da (quasi) sindaco, Matteo Lepore la compie nella basilica di San Petronio, quando già exit poll e proiezioni parlano di "valanga" e la figlia Irma – come Irma Bandiera, la partigiana – esulta in sottofondo nelle storie di Instagram, dopo un pranzo con gli amici di una vita. Non è un caso, perché a Bologna, la città di cui sarà proclamato primo cittadino con un potentissimo 62%, si celebra la festa del patrono. Lepore non può che partire da qui, dalla chiesa voluta e pagata dai cittadini (e non dalla Chiesa) alla fine del Trecento, simbolo di bolognesità, di libertà, di autonomia, per iniziare ad amministrare quella che ha definito più volte "la città più progressista d’Italia". Il cardinale Matteo Zuppi ricorda che "chi vince, ci faccia vincere tutti". Messaggio chiarissimo.
Il candidato del centrosinistra schianta dunque il civico Fabio Battistini, scelto in zona Cesarini dal centrodestra in modalità tafazziana, si ferma al 29,5% (gioisce, se così si può dire, solo Fratelli d’Italia, che con il 12,6% è la seconda forza politica sotto le Torri).
Quasi due cittadini su tre al voto hanno scelto Lepore: vittoria netta, corroborata dal 6,3% della lista personale e dal ‘suo’ Pd che si conferma al 36,6%, come alle regionali che premiarono il governatore Stefano Bonaccini. Ma c’è un solo neo, pesante, su questo successo di Lepore. L’affluenza: solo un bolognese su due ha votato, è la peggior percentuale per una tornata amministrativa della storia repubblicana. Alla fine dei conti hanno votato 156.688 cittadini su poco più di trecentomila. Il conto della serva dice quindi che a Lepore ’bastano’ 83.603 voti per salire a Palazzo d’Accursio. La vera opposizione, nei prossimi cinque anni, sarà il partito degli esclusi, dei non rappresentati, degli assenti dalla democrazia.
A il Resto del Carlino il segretario nazionale del Pd Enrico Letta aveva detto che da Bologna si aspettava "una vittoria importante" e che il risultato dell’alleanza con il Movimento 5 Stelle avrebbe avuto un peso nazionale. I grillini però hanno perso anche sul voto delle Regionali 2020 (lì al 4%, oggi di poco sotto; nel 2016 erano al 16,6%). Così, più che un Nuovo Ulivo, come evocato da Lepore che in campagna elettorale ha rispolverato pure la prodiana Fabbrica del Programma, ci troviamo davanti a una nuova sinistra, con la lista di estrema sinistra Coalizione civica al 7,3%. Non è un caso, poi, che Potere al Popolo sfiori l’ingresso in consiglio comunale con il 2,5%.
Matteo Lepore è stato, comunque, più forte di tutto. Del suo partito, il Pd, che un anno e due mesi fa non lo voleva candidato. Di Isabella Conti, l’unica vera avversaria di questa tornata elettorale (bene la sua civica a sostegno di Lepore): la sindaca di San Lazzaro lanciata da Matteo Renzi l’aveva portato alle primarie di coalizione a un 60-40%. Delle polemiche, visto che il capolista della civica personale, Roberto Grandi, si è ritirato dalla corsa dopo la lettera di Lorenzo Prodi, cugino del giovane Matteo che il prof ha investito fatalmente in auto e per cui si terrà l’udienza in tribunale il 14 ottobre.
Il nuovo sindaco parla subito con il piglio di chi vuole incidere anche a livello nazionale. Ribadisce che Bologna è "la città più progressista d’Italia", mantra della campagna elettorale, e che "quando il Pd ha coraggio, viene premiato. Non dobbiamo chiuderci nelle ztl o nelle correnti". Per Lepore "le primarie sono state il lievito", poi dopo i gazebo "la coalizione si è allargata a tutto il campo del centrosinistra" e gli elettori "ci hanno premiato, hanno avuto fiducia in noi". Lepore chiede di "ripartire dai sindaci" e dice che le prossime sfide tra politiche ed europee saranno "tra chi crede nei progressisti e chi vuole stare con le destre xenofobe, nazionaliste e sovraniste".
L’onda di sinistra travolge comunque tutta l’Emilia-Romagna, che non va al ballottaggio né a Rimini (sindaco Jamil Sadegholvaad) né a Ravenna (dov’è rieletto Michele De Pascale).
Nel centrodestra parte il processo alla Lega, che perde punti fino ad arrivare al 7,7% ed è seconda a Fratelli d’Italia, Il senatore di Forza Italia Andrea Cangini, che era stato a un passo dalla candidatura, ringrazia Battistini "per la generosità e l’impegno", ma rimarca come "il centrodestra abbia pagato a caro prezzo le scelte di Matteo Salvini. Scelte dettate non dal coraggio, ma dalla paura".