di Claudia Marin
I salari continuano a valere in maniera differente a seconda delle aree geografiche del Paese, come da lei denunciato e dimostrato, numeri alla mano, qualche anno fa nella ricerca con Boeri e Moretti?
"Il caso riportato dal QN della bidella che preferisce pendolare tra Napoli e Milano piuttosto che trasferirsi nel capoluogo lombardo dove gli affitti sono più alti, è una conferma dei risultati econometrici che ho ottenuto nella ricerca da lei citata con Boeri e Moretti – l’avviso è di Andrea Ichino, professore di economia a Bologna, uno degli autori della più documentata ricerca sulle differenze territoriali di potere d’acquisto dei salari–. E, dato che il livello dei prezzi è diverso tra le province italiane e, in particolare mediamente più alto al Nord, l’incomprensibile rivendicazione sindacale di mantenere i salari nominali uguali in tutto il Paese comporta che i salari reali siano invece molto diversi. Quindi a fronte di una inutile equità nominale, il risultato è che lo stesso bene (la casa prima di tutto) costa molto di più in alcune zone del Paese che in altre, e quindi il potere d’acquisto dei salari non è uniforme nelle diverse zone".
L’inflazione ha finito per accentuare di divari?
"Purtroppo, mi sembra che l’Istat non abbia ancora iniziato a seguire il nostro suggerimento di produrre indici dei prezzi locali, che consentano di misurare efficacemente le differenze geografiche di costo della vita. In assenza di questi indici dei prezzi locali, è quindi impossibile stabilire se l’inflazione colpisca in modo diverso le regioni Italiane. Non sono quindi in grado di dire se l’inflazione, che negli ultimi mesi è tornata ad affliggere il Paese, abbia accentuato le differenze geografiche di potere d’acquisto dei salari. Mi sembra, però, difficile immaginare che l’inflazione possa aver ridotto il problema".
A qualche anno dalla vostra indagine la situazione è rimasta analoga, se non è peggiorata. Cosa servirebbe per ridare equità alle retribuzioni reali?
"Quello che servirebbe è rendere più simile la produttività del lavoro tra le diverse zone del Paese: ma questo è un problema che affligge la realtà italiana da molto tempo e sul quale sono stati scritti fiumi di parole, ma poco o nulla è stato fatto di efficace. Tuttavia, il nostro non è l’unico Paese caratterizzato da ampie differenze geografiche di produttività. Per esempio, differenze simili esistevano anche tra la Germania dell’Est e dell’Ovest subito dopo la caduta del muro di Berlino. Ma lì queste differenze sono state affrontate in modo molto diverso".
Ha più volte indicato il caso tedesco: cosa accadde in Germania con la riunificazione e nel periodo successivo?
"È successo che in attesa di poter ridurre le differenze di produttività tra Est e Ovest, la contrattazione collettiva in Germania ha consentito alle aziende di utilizzare "clausole di uscita" dagli accordi raggiunti a livello nazionale, al fine di differenziare i salari nominali in modo opportuno. In questo modo in Germania non accade quel che invece osserviamo in Italia, dove un insegnante di scuola elementare arriva a guadagnare il 34% in più a Ragusa rispetto a Milano in termini reali".
Eppure, ogni volta che le cronache mettono in risalto la grande variabilità del costo della vista, c’è chi torna a evocare il rischio delle gabbie salariali. Perché la sua indicazione non significa un ritorno alle vecchie formule?
"Perché noi non stiamo proponendo di sostituire tante gabbie locali all’unica gabbia che il sindacato impone su tutto il territorio nazionale. Stiamo solo proponendo che sia dato più spazio ad una contrattazione locale, che possa consentire differenze geografiche di salario nominale. Queste differenze, però, non risusciterebbero le vecchie gabbie salariali, perché potrebbero variare nel tempo, oltre che nello spazio, mantenendo i salari reali in linea con i rispettivi livelli di produttività del lavoro. E allora, naturalmente, qualora questi livelli di produttività diventassero più simili geograficamente, anche i salari reali si aggiusterebbero. Tutt’altro che rigide gabbie".
I salari territorialmente differenziati restano, insomma, un grande tabù sindacale.
"È comunque paradossale che un sindacato che vuole proteggere il potere d’acquisto dei salari da variazioni dei prezzi nel tempo (ossia dall’inflazione), sia indifferente, anzi contrario, alla necessità di proteggere i salari anche dalle variazioni dei prezzi nello spazio".