Roma, 16 gennaio 2025 – Possibilità di studiare il latino a partire dalla seconda media (nessun obbligo, è facoltativo), più spazio alla storia italiana, nel senso di una maggiore attenzione ai “popoli italici, le origini e le vicende dell’antica Grecia e di Roma, la loro civiltà” e anche ai “primi secoli del cristianesimo”, Bibbia compresa. Abolizione, invece, della geostoria. Sono solo alcune delle novità che saranno introdotte nel 2026-27, come anticipate a ’Il Giornale’ dal ministro dell’Istruzione e del Merito, Giuseppe Valditara. Si tratta delle ‘Nuove indicazioni nazionali’ per la scuola, ovvero i nuovi programmi messi a punto da una commissione incaricata dal ministro per riscrivere la scuola, con una nuova riforma. Che prevede anche più spazio a letteratura, poesia ed educazione musicale. “Abbiamo disegnato il cammino degli alunni dai 3 ai 14 anni, il percorso dall’infanzia alle medie – spiega Valditara –, ma stiamo lavorando anche per le superiori. E introduciamo molte innovazioni. Cominciando dall’italiano. Ma non solo: verrà reintrodotta la possibilità di inserire il latino a partire dalla seconda media, verrà abolita la geostoria nelle superiori. E ridata centralità alla narrazione di quel che è accaduto nella nostra Penisola dai tempi antichia oggi”. Sarà dato poi più spazio a letteratura e grammatica: “L’insegnamento della letteratura sin dalla prima elementare in modalità adeguata alla giovane età degli studenti – aggiunge – deve far sì che gli allievi prendano gusto alla lettura e imparino a scrivere bene. L’abilità di scrittura è quella pù in crisi”. Dura la segretaria del Pd, Elly Schlein: “Bisogna garantire pari condizioni di partenza, altrimenti è una gara truccata”.
“Il ritorno del latino? Ben venga e che Dio li assista, speriamo sia la volta buona dopo vari conati in passato”. “Ma – avverte – che non sia una vernicetta, una bandierina, un giochino. Se si fa, si faccia bene, sia un diritto per tutti”. Perché “il latino è una causa giusta, ma ha bisogno di avvocati giusti”.
Non poteva che partire da Ivano Dionigi – latinista, ex rettore dell’Alma Mater di Bologna, intellettuale fermamente convinto della ’Permanenza del classico’ (è anche il nome del centro studi sotto le Torri) nelle nostre vite – la riflessione sulla proposta del ministro Giuseppe Valditara di reintrodurre il latino dalla scuola media. “Non conosco la proposta esatta, ma è una bella notizia”.
Perché?
“Si dice che i ragazzi parlino male e io ripeto che i classici servono a parlare bene. L’etimologia e il significato originario delle parole ci aiutano a riconoscerne il volto e la storia. Oggi abbiamo bisogno di un’ecologia linguistica e risalire all’origine è un antidoto: il latino è la mater certa, certissima, dell’italiano. Si è visto anche in pandemia quando le parole più usate erano virus e vaccino: latino. Noi parliamo latino e non ce ne rendiamo conto. Per venti secoli la politica con l’imperium, la religione con l’ecclesia e la scienza con lo studium hanno parlato latino"».
Quando è avvenuta la rottura?
“Ci sono stati due pregiudizi: i classici sono stati accusati di essere conservatori, reazionari e poi inutili. Il primo risale a dopo gli anni ’60: il latino non è stato più obbligatorio, era visto come appannaggio della destra. Un riflesso politico e ideologico del latino di cui si era impadronito il Fascismo. In Parlamento ci fu un dibattito fra conservatori e innovatori e il latino da questione culturale è diventato questione ideologica. Va anche detto che il latino era stato ridotto a grammatichetta, a scheletro. Pure Pascoli diceva che annoiava”.
E sul secondo pregiudizio, che il latino sia inutile?
“Nell’era di ChatGPT è semmai il contrario. Il latino è contrappeso, completamento. Il web da solo rischia di formare un mezzo studente, un mezzo diplomato, un mezzo uomo. E qui il latino porta in dote non solo la consapevolezza linguistica dell’italiano, ma ci apre il tempio del tempo. Nell’antica Roma tutto era tempo, tutto era ritmato secondo le stagioni, dalla religione al diritto fino alla lingua. Lei si ricorda la consecutio temporum? Pensiamo alla parola volto, dal latino volvere: che cambia continuamente. Il tempo è un valore vitale per i giovani che sperimentano un ’gas nervino’: vivono imprigionati dalle spire del presente. Infine, il latino è un paradigma interpretativo del mondo, il segno dell’Europa”.
Ma come tradurlo in classe?
“Mi piacerebbe la co-docenza, la presenza del professore di latino e di quello di IA: i ragazzi devono essere Giani bifronti. Anche Steve Jobs lo diceva: i punti si connettono guardando avanti e indietro. Vedremo come si procederà. Ripeto: ben venga, ma non se ne rifaccia una questione ideologica”.
Ma come non ridurlo, allora, alla mera grammatica?
“I metodi sono tanti, purché si arrivi ai testi il prima possibile, se no diventa un peso. Si potrebbe lavorare su alcune parole, collaborando fra docenti di materie diverse. Come diceva Daniele Del Giudice, la parola è la materia prima”.
Si parla di opzione facoltativa.
“È giusto, ma evitiamo discriminazioni e di scavare un fossato fra chi può farlo e chi no. In ballo c’è l’idea complessiva di scuola: non è questione di un mattoncino, ma di un edificio. Il latino è una parola evocativa, però i classici non sono al servizio del potere, ci rendono liberi. Il latino può rimettere in moto il sottosuolo culturale del Paese, è una sonda, un pensiero antagonista al presente: bene parlare di radici, ma non siamo alberi, noi abbiamo piedi e siamo destinati ad andare in ogni dove”.
Ma ragazzi così giovani, in classi con sempre più alunni stranieri, hanno gli strumenti?
“È una sfida. I ragazzi oggi sono meno attrezzati, basti pensare all’analisi logica. Le sfide vanno accettate, ma vanno date risorse, strutture e tempo alla scuola, che è il terreno più importante”.
E sullo studio della Bibbia?
“Ne sono felice, è il grande codice della cultura occidentale, ma non ci vuole un insegnamento confessionale. La Bibbia è un forziere di tesori, però servono persone preparate, non è che arriviamo con l’acqua santa. Il richiamo, per tutti, è a essere adulti”.