Da golden boy dell’informatica russa, ad arrestato speciale. Nella sua vita, Pavel Durov, ha bruciato tutte le tappe. Nato nel 1984 a San Pietroburgo, ai tempi ancora Leningrado, da padre russo e madre ucraina. Dopo aver passato l’infanzia a Torino, al seguito dei genitori, è divenuto ricchissimo a meno di trent’anni, e adesso che ne ha quasi 40 rischia di passarne 20 in prigione. La polizia francese lo ha messo in manette sabato notte mentre sul suo jet privato era appena arrivato dall’Azerbaigian. L’accusa è pesante. Omesso controllo sulla sua piattaforma Telegram, grazie alla quale gruppi criminali hanno potuto fare quello che volevano. E in effetti è così. A furia di far fare ai malviventi e ai trafficanti d’armi i loro comodi, Durov era diventato potentissimo, fino a passare quasi per la parte del martire, almeno per chi ci ha creduto. Intanto, molti funzionari governativi, delle forze di sicurezza e dell’amministrazione presidenziale russa hanno ricevuto istruzioni per rimuovere la loro corrispondenza ufficiale da Telegram, il principale mezzo di comunicazione russo nella guerra in Ucraina.
La sua parabola è iniziata nel 2006, quando con il fratello Nikolai fonda VKontakte, il Facebook russo. Così potente e pervasivo da rimpiazzare totalmente la piattaforma di Zuckerberg. Arriva il 2014. VKontakte conta oltre 210 milioni di utenti. Non solo russi, ma anche milioni di ucraini e utenti di Paesi dell’ex blocco sovietico, che non saranno più sovietici, ma degli americani non si fidano lo stesso. Messo alle strette dal Cremlino, Durov si rifiuta di fornire i dati di chi ha organizzato la rivolta di Euromaidan e bloccare le pagine degli oppositori di Putin e scappa dalla Russia. Qui inizia la favola, raccontata molto male, dell’eroe. Durov vende VKontakte, ma nel 2013 aveva dato vita a una piattaforma ancora più micidiale: Telegram. Un sistema di messaggistica che con il passare del tempo si evolve e diventa molto di più. Offre la possibilità di aprire canali di informazione, scambiare documenti, foto, audio e video, formare gruppi di discussione, creare gruppi chiusi che non si dedicano solo allo scambio di idee. Con il sistema dei bot, applicazioni esterne governate dall’intelligenza artificiale, si possono mettere su attività commerciali.
E così, nel 2014, Durov lascia la Russia, apparentemente da esule e martire, ma con 17 miliardi di dollari in tasca e soprattutto la certezza che la Russia non gli avrebbe mai torto un capello. Telegram rappresenta la maggiore fonte di informazione, soprattutto fra i giovanissimi, quindi un veicolo potentissimo per la propaganda russa. Non solo. I gruppi segreti e i bot sono serviti a utenti certo non sgraditi al Cremlino per reprimere la dissidenza nel Paese e organizzare le attività paramilitari della Wagner grazie alla quale la Russia esercita il suo soft power in Africa e portato avanti le operazioni più efferate in Ucraina. Si sente ancora più onnipotente, quando il suo social inizia a venire utilizzato dagli ucraini per respingere gli attacchi dei russi. Durov sa perfettamente di essere intoccabile, per questo, fino a sabato notte conduce una vita in mezzo agli agi, ufficialmente sposato con la sua compagna dell’università da cui ha due figli, ufficialmente facendo le stesse cose degli uomini che hanno fatto troppi soldi troppo da giovani. Fino a quando la giustizia francese gli fa capire che la musica è finita. Nelle prossime ore comparirà davanti a un giudice.
I reati che gli potrebbero venire contestati sono tanti e gravi: terrorismo, traffico di stupefacenti, frode, riciclaggio di denaro, ricettazione, contenuti criminali minorili. Le reazioni a un arresto così eccellente non potevano mancare. E se l’ex presidente russo, Dmitry Medvedev, ironizza spiegando che "pensava di aver poter fare a meno della Russia, ma ha sbagliato i suoi calcoli", c’è chi trema. Elon Musk, proprietario di X e grande supporter di Trump, che ha già problemi con la giustizia Ue, dichiara: "Io potrei essere il prossimo".