GIAVENO (Torino)
Tutto parla di lei. Il cappello da alpina, le rose, uno sci con il suo nome, il tricolore. Intorno a questa biografia minima una folla enorme piange Matilde Lorenzi, caporale, morta in allenamento in Val Senales alle porte dei vent’anni. Sembra tarda primavera in piazza San Lorenzo, la neve va immaginata dietro i bastioni della Val Sangone. Ma i ragazzi in tuta, con al braccio la fascia dedicata a "Matildina", sembrano un raduno di atleti pronti a lanciarsi fra i pali. Parenti, amici, autorità. Nonna Rosina e Paolo De Chiesa, le divise dell’Esercito e i ministri, migliaia di persone. Giaveno, fin qui capitale del fungo, comincia a scrivere una storia diversa in nome della ragazza che sciando voleva "lasciare una traccia" e in qualche modo ci è riuscita: grazie al progetto "Matildina4Safety", pensato dai suoi genitori, anche uno sport pericoloso potrebbe trovare qualche margine di sicurezza in più.
È precisa strategia contro il dolore, l’unico modo per farsene una ragione. Adolfo Lorenzi, il papà, torna a parlarne come aveva fatto subito dopo l’incidente di lunedì 28 ottobre: "Matilde ci ha chiamati a fare un duro lavoro, tutti insieme, e per questo busseremo a ogni porta. Questo progetto la manterrà in vita per noi". Una raccolta fondi in ricordo della figlia per sviluppare sistemi di sicurezza individuali nello sci alpino (donazioni con bonifico bancario all’IBAN IT35D0304830520000000000205).
Tragedie come questa portano lacrime ma accendono le idee. Nuovi caschi e sistemi di protezione del collo e della testa. Sistemi antitaglio e qualcosa di simile all’airbag per diminuire i traumi di torace, tronco e pancia. Coinvolgimento delle aziende leader del settore, le università, i medici. E con i primi soldi, via ai prototipi. Bisogna per forza credere che tutto questo sarebbe servito anche a Matilde. La giovane torinese cresciuta sulle nevi del Sestriere lunedì scendeva lungo la pista Grawand G1 in un tratto abbastanza pianeggiante quando gli sci si sono divaricati e le lamine hanno smesso di mordere la neve. Uno si è sganciato, lei ha sbattuto la faccia sul ghiaccio ed è finita fuori pista. Non ci sono ipotesi di reato, non è stata aperta un’inchiesta. Un incidente. Come non dovrà accadere più.
De Chiesa, ex sciatore della valanga azzurra, ha notato che nel punto della caduta mancavano le reti di protezione, ritenute inutili in quel tratto di pista dai responsabili dell’Alpin Arena Senales. "Gli incidenti mortali sono per fortuna rarissimi – ricorda – però c’è sempre di mezzo la velocità. Se si cade dove non ci sono le reti protettive e si finisce fuori pista, può succedere anche una tragedia come questa". E scende il buio. "Per noi adesso c’è solo oscurità – dice nell’omelia il vescovo ausiliare di Torino, monsignor Alessandro Giraudo –. Invece per Matilde si è accesa una luce infinita". Elena, la mamma, ha solo gratitudine per la sua bambina: "Sei voluta arrivare di fretta, il 15 novembre 2004, e in fretta hai deciso di andartene. Voglio solo ringraziarti perché io e papà abbiamo avuto la fortuna di essere stati scelti da te come genitori".