IL PORTO d’armi non è per tutti. O almeno dovrebbe essere così. Perché poi succede, come a Secondigliano, che l’infermiere «normale» imbraccia fucili con la perizia dell’esperto cecchino e uccide quattro persone. Facile dire, ora, che è stato un raptus. Anche se poi, una volta per tutte, bisognerà pur dire che il raptus non esiste. Che l’esplosione della follia omicida spesso è soltanto lo scoperchiare una violenza nascosta che cova da tempo. L’infermiere di Secondigliano, per esempio, pur sembrando anche a detta dei colleghi una persona equilibrata, aveva un arsenale in casa (kalashnikov compreso) e una collezione di film di guerra in cui spicca «American Sniper». Possibile che nessuno si sia accorto prima della sua predilezione morbosa per i fucili? Possibile. E allora non bastano regole e criteri severi per la concessione del porto d’armi. Servono invece, controlli ravvicinati e mirati soprattutto dal punto di vista psichico, oltre che fisico. Per evitare di ritrovarsi un cecchino sul pianerottolo di casa, bersagli indifesi in un giorno di maledetta e ordinaria follia.
CronacaLa violenza da prevenire