Anche se i rapporti del gesuita Bergoglio con la Compagnia di Gesù non sono sempre stati idilliaci, è evidente che quando si trova fra i suoi confratelli papa Francesco si sente come a casa. Per questo parla con la libertà e la spontaneità che si manifestano di solito solo in spazi privati, in occasioni forse inizialmente non destinate a divenire pubbliche. Si può comprendere come un Pontefice anziano e convalescente da una importante operazione, nel corso di un viaggio faticoso, abbia sentito la necessità di sfogarsi con un gruppo di amici, cioè una cinquantina di gesuiti slovacchi. Ma è legittimo domandarsi se fosse proprio necessario anticipare il resoconto di questa conversazione, destinata alla Civiltà Cattolica, ad altri media. Il testo dell’articolo – che comprende considerazioni ampiamente condivisibili sulla Chiesa di oggi e si conclude con una frase altrettanto condivisibile ("Ci vuole molta pazienza, preghiera e molta carità") – è infatti punteggiato di osservazioni polemiche, quelle ovviamente che sono state più riprese nelle anticipazioni.
Il Papa si è lamentato che in occasione della sua operazione si siano diffuse voci e previsioni su un prossimo conclave e che nel suo governo deve affrontare di continuo opposizioni e travisamenti delle sue parole. Si tratta di lamentele giuste. Ma bisogna rammentare che questi inconvenienti sono legati a ogni carica di potere, ruolo che espone inevitabilmente a essere al centro di critiche e di intrighi. Tant’è vero che critiche e intrighi non sono stati risparmiati ai suoi predecessori, i quali anzi ne hanno sofferto, forse in misura maggiore. Oggi non si ricordano più le voci su una presunta omosessualità di Paolo VI, le critiche per una sua visione pessimistica della vita e un suo ritrarsi nella tradizione dopo la fine del concilio. E Giovanni Paolo II non è stato forse bersaglio di molti strali perché considerato di destra, troppo conservatore, ovviamente anticomunista? Quando poi, in occasione del giubileo celebrato nel 2000 aveva avviato i ’perdoni’ chiesti a nome della Chiesa per comportamenti ora ingiustificabili, sono state molte le voci che si sono levate per denunciare la sua mancanza di senso storico. Per non parlare della lunga e lenta malattia di papa Wojtyła, durante la quale le speculazioni su un conclave, che ovviamente prevedevano candidati alla successione, si susseguivano senza sosta. E che dire di Benedetto XVI, chiamato il ’pastore tedesco’ con riferimento al cane da guardia e con allusioni a una sua presunta connivenza con il nazismo? E quando il suo discorso di Ratisbona è stato malignamente manipolato dai giornalisti, creando anche un caso diplomatico?
A guardar bene, Francesco ha ricevuto dai media un trattamento molto più benevolo, anche perché è stato capace, con opportuni e ripetuti interventi, di conquistarsi un posto di beniamino presso gran parte della stampa italiana e internazionale. Bergoglio ha capito che a un Papa moderno non basta la consacrazione del conclave, ma che ci vuole quella dell’opinione pubblica, e ha saputo conquistarsela. Anche le parole dette davanti ai gesuiti, le lamentele sulle critiche che si è lasciato sfuggire, rientrano nel nuovo modello di Papa moderno, umano, spontaneo, "uomo come noi" che parla a tu per tu, da lui sempre impersonato.
È questa la figura del Papa – del vicario di Cristo in terra, come si diceva una volta – a cui dobbiamo guardare. Dalla fine dell’Ottocento, da quando cioè il Pontefice romano è diventato una figura pubblica conosciuta nel mondo attraverso le fotografie e i giornali, la sua personalità è diventata un fattore determinante nel governo della Chiesa e nello stabilire come la immaginiamo e accettiamo. In sostanza, la Chiesa istituzione e la Chiesa comunione dei santi, è quasi scomparsa davanti all’immagine mediatica della Chiesa riassunta nel pontefice, diventata tutt’uno con la sua immagine. Francesco ne è ben consapevole, e fa una scelta precisa. Speriamo che sia quella giusta per i nostri tempi.