ERBA (Como)
La Corte d’appello di Brescia ha accolto l’istanza di revisione. Al via il nuovo processo per la strage di Erba. Inizierà in udienza pubblica il primo marzo davanti alla seconda sezione penale dell’appello di Brescia. In realtà erano state tre le istanze di riapertura, che due mesi fa la Corte d’appello ha unificato in un unico procedimento. Le avevano firmate, in ordine di tempo, il sostituto procuratore generale di Milano, Cuno Tarfusser, l’avvocato Diego Soddu, tutore di Olindo Romano e della moglie Rosa Bazzi (che scontano una condanna definitiva all’ergastolo come responsabili del massacro), i difensori dei Romano (Fabio Schembri, Nico D’Ascola, Luisa Bordeaux e Patrizia Morello). "Siamo soddisfatti – commenta il difensore Schembri – per la fissazione dell’udienza e la possibilità di affrontare nuovamente il processo. Riteniamo che i nostri assistiti siano innocenti. Dimostreremo la criticità delle vecchie prove e la consistenza delle nuove che, a nostro avviso, vanno a impattare con la sentenza di condanna".
Per l’ex netturbino di Erba e l’ex colf sarà questo l’ultimo finale di partita, l’ultima ciambella di salvataggio per sottrarsi al carcere a vita. Era la sera dell’11 dicembre del 2006, a Erba. In un grande condominio in via Diaz vennero massacrati a coltellate e colpi di spranga Raffaella Castagna, il suo bambino Youssef, di due anni e mezzo, Paola Galli, madre di Raffaella, la vicina di casa Valeria Cherubini. L’unico sopravvissuto, anche se gravemente ferito, fu Mario Frigerio, marito della Cherubini. La Corte d’appello ha citato, oltre ai due imputati, le parti civili (che potranno decidere se costituirsi come nei precedenti gradi di giudizio) e anche il sostituto pg Tarfusser. Il processo di revisione inizierà, come qualsiasi dibattimento, con la richiesta di ammissione delle prove da parte dell’accusa, rappresentata dalla procura generale, e della difesa. I giudici decideranno quali ammettere: tutte, alcune o nessuna.
Anche in quest’ultima eventualità, il processo proseguirà, in base agli atti già in possesso della Corte, fino alla decisione finale: conferma della condanna all’ergastolo oppure suo annullamento e assoluzione di Olindo Romano e Rosa Bazzi. Ovviamente più prove e consulenze della difesa verranno ammesse e più aumenteranno le possibilità di un ribaltamento della sentenza, da tempo cristallizzata dal pronunciamento della Cassazione. I legali dei coniugi hanno attaccato la muraglia con una istanza di oltre 150 pagine, sette consulenze, audio e video.
Alcuni punti. Valeria Cherubini, l’ultima vittima. Le sue invocazioni di aiuto furono raccolte da due vicini, i primi ad accorrere perché richiamati dall’incendio appiccato nell’appartamento di Raffaella Castagna. La Cherubini venne trovata nella sua abitazione al piano di sopra, morta dopo avere ricevuto una coltellata che aveva reciso la lingua e otto colpi al capo. Il cadavere presentava una lacerazione del muscolo psoas, fondamentale per collegare le gambe alla parte superiore del corpo. Quindi, argomenta la difesa, quando giunsero le sue grida di aiuto la donna era ancora viva e fuggiva, salendo le scale, inseguita dal suo assassino. Se i due Romano, lordi di sangue, fossero scesi nel cortile ormai in allarme per le fiamme, sarebbero stati sicuramente notati.
Invece chi aveva portato a termine il massacro, scelse un’altra via di fuga, dal terrazzino di casa Castagna o dai tetti. Gli assassini erano già annidati nell’alloggio di Raffaella Castagna? Nel pomeriggio, quando tutti gli abituali occupanti erano assenti, si verificarono dei consumi energetici. Provocati da chi, si chiedono i difensori? Un interrogativo che si raccorda con la testimonianza degli inquilini del piano di sotto, una famiglia di indiani, che dichiararono di avere sentito rumore di passi in casa di Raffaella. Mario Frigerio riconobbe il suo vicino Olindo. Ma in un primo tempo descrisse un tipo assai diverso.
La testimonianza del tunisino Abdi Kais, amico di Azouz Marzouk, marito di Raffaella Castagna. Faceva parte del gruppo, che comprendeva anche i fratelli di Azouz, in lotta, anche cruenta, con una consorteria di marocchini per il controllo dello spaccio di stupefacenti. I proventi, secondo Kais, venivano custoditi nell’appartamento della strage.